Archibibliomania. Le riviste e l’architettura, due generazioni a confronto

 

Da sinistra verso destra. Le copertine e l’interno di Parametro 248/03, Aion nr. 4/03, And nr. 1/03.

Una messa a punto’ del rapporto tra l’editoria e l’architettura contemporanea è stata proposta ieri mattina presso la Facoltà di Architettura di Ferrara durante l’ultimo appuntamento della rassegna ‘archibibliomania’, nell’ambito delle manifestazioni legate al decennale della fondazione dell’Istituto (Xfaf). L’iniziativa – purtroppo a porte chiuse – ha voluto mettere a confronto due generazioni di riviste: quella storica di Parametro – che il prossimo anno festeggerà (non senza poche difficoltà) i 35 anni di attività – e quella più recente della giovane AION (da poco superato il primo anno di vita) e della neo-nata AND, delle quali conoscevo già personalmente i direttori poiché assistenti del relatore (Prof. Arch. Rino Vernuccio) che all’epoca seguì la mia tesi. A completare la tavola rotonda, coordinata da Davide Turrini, sono stati invitati anche due docenti che insegnano all’Istituto di Ferrara: Nicola Marzott (redattore di Paesaggio Urbano) e Giovanni Corbellini.

Come al solito brillante nella dialettica e critico pungente nelle sue affermazioni, Gresleri è entrato da subito nel vivo del dibattito denunciando come la mancanza di richiesta di architettura sia la causa principale del ‘malessere’ in cui vive oggi la ‘cultura del progetto’: è per questo che se ne trova raramente nel nostro Paese; è per questo che si rende difficile comunicarne il messaggio, è per questo che non si può dare tutta la colpa al mondo editoriale; è per questo che c’è bisogno di responsabilizzare la società civile in modo che l’architettura possa/debba tornare ad essere ‘strumento di educazione’, una presenza di ‘pubblico interesse’. Oggi, spiega il Nostro, si confonde l’architettura con il ‘segno architettonico’ che – tramite il messaggio mediatico – giustifica operazioni più legate ad esigenze di tipo politico-economico che di emancipazione alla ‘contemporaneità’. Parlando poi della sua decennale esperienza editoriale, Gresleri ha poi sottolineato con orgoglio come Parametro sia riuscito in tutti questi anni a finanziarsi principalmente coi contributi dei suoi abbonati – da lui definiti ‘fedelissimi’ – senza dover scendere a compromessi con quelle regole del mercato che impongono pubblicità e sensazionalismo a tutti i costi, mantenendo così pressochè inossidabile la formula della ‘monografia’ (prendere un tema e farsi carico di svisceralo), con la quale in tutti questi anni la rivista ha saputo approfondire tematiche importanti sia in campo dell’architettura che dell’urbanistica ma, soprattutto, a documentare in modo premuroso una quantità di materiale che costituisce, a mio parere, un patrimonio unico nel panorama nazionale. L’integrazione poi con il settore digitale della rivista, coordinata da Agnoletto di quarant’anni più giovane, sta a dimostrare che in tutti questi anni di appassionato lavoro si è consolidata la voglia e la serietà di dare un contributo concreto alla divulgazione di una ‘cultura architettonica’ sempre aggiornata e coerente coi tempi. Il sito-internet di Parametro – che è nato nel 2001 insieme al rinnovamento editoriale della rivista (grazie al lavoro di Cecilia Bione) – digitalizzando l’intera opera della rivista, ha l’ambizione di divenire presto uno strumento complementare alla carta stampata mediante un data-base in cui trovare interviste, video, ed altro ancora.

Pressochè uniche nel loro genere sono invece le vicende di AIÓN e AND, non tanto per la loro storia appena iniziata, o per il taglio editoriale voluto dai loro promotori, quanto per lo stretto legame di parentela che le accomuna: entrambe sintetiche nel nome (tra l’altro non italiano), fondate, dirette ed editate da due amici/colleghi nella stessa Firenze, nonché coetanee in una comune esistenza periodica quadrimestrale. È singolare tra l’altro come abbia riconosciuto in queste pubblicazioni sia il carattere individuale dei loro fondatori che quell’impronta elitaria ed erudita che caratterizza il mondo accademico e professionale fiorentino. Ma andiamo per ordine.

Di Nardo, nel presentare il primo numero di AND, ne spiega subito il titolo che significa semplicemente ‘e’: qui intesa come ‘congiunzione’ fra due concetti, due dualità, due tematiche, due filoni e/o fra una di queste categorie e l’altra. Lo scopo è quello di attivare operazioni di ‘confronto attivo’ in grado di capire ed approfondire il significato di entrambe. Questa prima esperienza della rivista ha come protagonisti il lavoro e il pensiero di Jean Nouvel (uno dei più noti attori/progettisti dello star system) e Firenze (città dell’immaginario globalizzato) dove il suo studio si è aggiudicato (lo scorso anno) il concorso per la realizzazione di un nuovo albergo. Sarà in grado AND – attraverso questa semplice ma delicata ‘congiunzione’, oserei dire mitologica tra uomo e città – :di svelarci i ‘segreti’ che ne giustificano il link?; Di prevedere gli effetti (non solo formali) sul complesso sistema in cui si intrecciano politica, economia e pianificazione in un conteso (quello fiorentino) così fortemente consolidato e caratterizzato?; Di dimostrare in che modo l’opera architettonica possa rispondere ai bisogni di cambiamento che la società ri-chiede oggi con urgenza?

Fagioli – prima di introdurre la sua rivista – tenta di dare un giudizio sintetico sulla realtà editoriale di settore, riconoscendo nel diorama delle riviste italiane di architettura l’ambiguità di adoperarsi sia come ‘piazza’ capace di garantire pluralità dell’informazione (democraticità del dibattito) che come ‘piazzale’ di un ‘regime editoriale’, gestito dai grossi gruppi, che porta all’omologazione culturale e ad un’informazione incompleta. Obiettivo di AIÓN è proprio quello di porsi in controtendenza rispetto a questa condizione. Anche qui il titolo diventa manifesto: la parola greca che sta ad indicare il ‘tempo dell’essere’ – in opposizione a kronos, ‘tempo del divenire’ – dimostra la volontà della redazione di approfondire il dibattito sull’architettura contemporanea indagando principalmente sul suo moderno-post e sull’aspetto storico-culturale in cui si trova ad operare. Per questo motivo, all’impeccabile e lussuoso carnet fotografico, si affianca, spiega Fagioli, un’ampia ‘letteratura’ costituita da interventi di critica e riflessione teorica, dI interviste e piccoli saggi, ognuno di almeno 15.000 battute.

Corbellini – rimarcando il paradosso di un Paese come il nostro caratterizzato dall’overdose di riviste e architetti rispetto all’architettura vera – denuncia il fatto che la produzione editoriale in Italia è fortemente condizionata da un’offerta, manipolata dal mondo accademico e dal mercato, che non solo non corrisponde ad una cultura architettonica viva e dinamica ma che, anzi, la svela autoreferenziale, chiusa ed incapace, perché schiava degli stessi meccanismi da lei imposti, di vedere/vivere in tempo reale le trasformazioni in atto; di muoversi all’interno di un processo critico e costruttivo, di rassicurare tutti che è viva e presente.

Marzot, mettendo in evidenza come il panorama editoriale in Italia sia appiattito sulle ‘apparenze’ della grafica a scapito così della componente critica che ne giustificherebbe l’esistenza, avverte amaramente come questo atteggiamento faccia a loro sfuggire di mano l’essere ponte/tramite – attraverso la comprensione e diffusione della profondità/complessità del progetto architettonico – tra la politica, la professione, la committenza, l’economia, il contesto (urbano), cioè tra tutti quei fattori che insieme contribuiscono al successo dell’esperienza progettuale che (a sua volta), materializzandosi in ‘costruito’, diviene architettura.

Da questo incontro di Ferrara sono emersi alcuni importanti concetti – che sarebbe stato bene diffondere in un incontro pubblico – e che varrebbe la pena riprendere eventualmente in altra sede. Il dibattito è, infatti, riuscito a delineare l’ambito in cui le riviste di architettura si trovano oggi ad operare. Si scopre, così, un panorama molto complesso e condizionato fortemente da un mercato oramai saturo (ben 41 riviste come è stato enfatizzato nel primo editoriale di AND), settorializzato, fragile e schiacciato sotto i dictakt della logica che privilegia il ‘consumo’ della informazione piuttosto che la ‘elaborazione’ critica della ‘questione progetto’. Questa situazione contribuisce a mortificare e vanificare il confronto in architettura – fondato sulla ricerca di riscontri e perché no anche di dissensi – che in passato ha contribuito a fare delle nostre riviste dei veri e propri punti di riferimento per la ‘cultura del pensare’ a livello mondiale. Dal dialogo, poi, tra queste due generazioni di riviste (Parametro / AION-AND), si evince come l’architettura scritta debba mantenere sempre uno stretto legame con l’esperienza professionale, e come sia estremamente difficile ‘comunicare per educare’ all’interno della delicata rete in cui si trovano ad operare tutti i ‘mezzi’ che fanno informazione. È da questa consapevolezza che mi chiedo: quale ruolo possano giocare le belle AIÓN e AND all’interno di questa realtà? Tale domanda trova conferma anche dalla mia perplessità nei confronti della natura periodica di entrambe. Infatti, l’essere quadrimestrali, li rende ai miei occhi troppo guardinghe: quattro mesi sono troppi per elaborare ed esporre idee in un’epoca in cui proprio il settore dell’architettura – oggi, purtroppo, controfigura dell’edilizia di lusso o del design no limits – necessita di una presenza quotidiana, disinibita e più vicina alle problematiche del presente. Nel tenere in braccio per pochi attimi queste due giovani pubblicazioni – sfogliandone le pagine – nutro il timore che la loro esistenza sia in qualche modo già condizionata dalle questioni sopra menzionate. Riusciranno AION e AND a non diventare anch’esse dei meri cataloghi commerciali, dei supporti costosi per sponsor persi in modo subliminale dentro l’accattivante book fotografico?

Mi auguro che gli amici Di Nardo e Fagioli abbiano successo con le loro iniziative, che escano sempre fuori nuove riviste magari a scadenza ‘quotidiana’ o addirittura ‘occasionale’ (si scrive solo quello che c’è bisogno di dire), come mi auguro che in un’epoca in cui tutto si conserva ad oltranza, spesso senza la dovuta coscienza, vi sia la sensibilità di dare il giusto riconoscimento, di salva-guardare e di tutelare quelle riviste storiche che da decenni hanno mantenuto la propria integrità riuscendo ad aggiornarsi – grazie anche a coloro che hanno sempre creduto nel valore ‘educativo’ che l’editoria dovrebbe avere nei confronti dell’architettura – così da evitare che altre si spengano sotto i colpi di un mercato, in cui è più importante apparire che essere presenti come protagonisti responsabili della società civile.


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