Spiaggia d’asfalto
© arcomai l Alcuni “chioschi” disseminati per le strade di Bologna.
La città italiana si sta trasformando in un enorme “villaggio vacanze” grazie ai “chioschi” di bar, ristoranti, gelaterie ed altro disseminati nel paesaggio urbano. Apparentemente innocue, queste pagode, verande, altane a quota stradale – nate per essere smontate nei periodi freddi, ma in realtà attrezzate per resistere a qualsiasi stagione – sono tutte superfetazioni “abusive” che – preventivamente condonate dal “sistema delle entrate” – si stanno rosicchiando (primavera dopo primavera, metroquadro dopo metroquadro) i marciapiedi e le piazze delle nostre città. È qui che si manifesta in modo palese la crisi dello spazio collettivo, che si decreta la morte del suolo pubblico, inteso come ambito sociale da tutelare e non da occupare solo perché si paga una tassa per il “disturbo”. Mentre la “macchina del turismo” sta de-stagionalizzando le località di villeggiatura trasformandole in catene di montaggio per la “industria dello svago” – mettendo così a dura prova le capacità della natura di recuperare le energie dopo gli sforzi dei periodi di “alta stagione”-, le amministrazioni delle “città a clima continentale” stanno trasformando il nostro Paese in uno sconfinato arcipelago di “isole dei famosi”, nel più grande parco giuochi “senza frontiere” d’Europa. Stiamo attenti – dice Richard Ingersoll nel suo ultimo libro -: “Se il turismo diventa uno dei pochi usi legittimi dello spazio urbano, allora si tramuta in un problema di ordine politico. Il turista, per definizione alienato dal contesto politico, viene concepito come soggetto ideale per l’architettura. Nel momento in cui i cittadini vengono sostituiti dai turisti, molte città si sforzano di riprodurre o di proteggere le forme di sfera storico-pubblica senza però difendere gli aspetti di partecipazione politica che un tempo queste contenevano” (Sprawltown, Meltemi Editorte srl., Roma 2004)