Bologna ingessata
Foto tratta da ‘La metropoli rimossa’ nr. 7 di GOMORRA (Ed. Meltemi, Roma maggio 2004). Autore, Nunzio Battaglia.
Il titolo del numero monografico “Bologna, la metropoli rimossa” (edito da Meltemi, Roma 2004) sintetizza efficacemente la condizione di arretratezza in cui langue il dibattito urbanistico locale in corso. La cultura del centro storico viene contrapposta a quella metropolitana. L’obiettivo è quello di dimostrare che, al di là delle dichiarazioni di intenti, il modello di “città chiusa”, intesa in termini tanto urbanistici quanto “corporativi”, sembra prevalere nei fatti rispetto a quella “aperta”.
Ilardi, direttore della rivista, presentandola a Luigi Prestinenza Puglisi, così risponde alla domanda “Qualche parola su Bologna, … Ma in architettura la sinistra è così reazionaria?” – risposta: “Ancora oggi … sopravvive lo spirito della storia inteso come l’eternamente perdurante che racchiude in sé passato e avvenire, e le sue leggi immutabili che devono guidare la contingenza della politica. La città e il suo centrostorico … rappresentano questa potenza del tempo in quanto incarnano lo spirito della storia. Bologna, per conservarsi dentro questo tempo, ha addirittura programmaticamente rinunciato a trasformarsi in spazio metropolitano tagliando i ponti con la sua periferia. Qui sta il pensiero reazionario … L’ordine del tempo contro il disordine dello spazio: pensare che il progetto possa mettere ordine senza “sporcarsi” con l’anarchia, l’instabilità, i dissidi che attraversano lo spazio …”
Persino Piero Orlandi, sulla stessa rivista, si esprime così: “La cultura urbanistica degli anni Settanta conosce una specificità bolognese ed emiliana: è la pratica della conservazione del centro storico, che per i decenni successivi ha costituito l’obiettivo primario del governo del territorio nella regione, transitando con poche variazioni nella legge urbanistica dell’Emilia Romagna, … il fatto è che la prassi del recupero ha fatto scuola al punto che ora a Bologna sono degni di attenzione anche gli edifici a corte dello IACP …Wim Wenders ha trovato l’espressione – confetteria urbana – per una concezione del restauro che arriva all’accanimento a resuscitare ogni preesistenza, e che soprattutto è ispirata solo dalla nostalgia.”
Si noti che questo tipo di “politiche”, semplicemente e chiaramente, purtroppo inevitabilmente, se da un lato trainano persino riferimenti stilistici, addirittura in seno a commissioni edilizie, dall’altro tolgono spazio nella città alla sua evoluzione interna. La città, così ingessata, è alla perenne e perversa ricerca di nuovi terreni, appunto periferici, per soddisfare nuove esigenze, avendo del tutto rinunciato alla possibilità di rinnovarsi-cambiare al proprio interno. Gli edifici classificati 2b derivanti da dismissioni industriali, come i loro simili in Centro anche non classificati, tanto per fare un esempio concreto, blindati in volume e forma, sono destinati, è l’evidenza più provata, o a rimanere inutilizzati fino a non si sa quando e quindi a creare sacche di degrado o a perpetuare il modello edilizio basso ed esteso erosore di terreno cinicamente chiuso alla città. In entrambi i casi la città perde l’occasione di riutilizzare uno spazio al proprio interno con nuova e diversa edilizia alta, dotata di spazi pertinenziali e a standard portatori di vivibilità, che poi deve cercare affannosamente localizzazione in spazi periferici.
Bologna ha scelto da tempo la conservazione e la medietà, con la protervia delle scelte assolute, ha rinunciato alle grandi visioni, ha scelto il locale, il piccolo e l’antico, ha scelto di “non toccare niente”, e va bene; ma oggi chi volesse reiterare le medesime scelte è chiamato ad una presa di coscienza, il continuismo è chiamato alla prova di un sostegno culturale e, se vogliamo, popolare, che non è più scontato. Il contraltare operativo alla scala del progetto edilizio è inevitabile, e se ne sente il peso proprio nell’impossibilità di introdurre alternative al modello residenziale tradizionale, un piccolo esempio per tutti il primato locale sulla “tenuta normativa” della stanza cucina, uscita dagli obblighi solo nel 2004. La fortuna del continuismo o del nientismo si esplica, pertanto, sia a livello funzionale, laddove soffoca possibili alternative dell’abitare, sia a livello d’immagine. Scrive Richard Ingersoll: “A proposito delle architetture degli ultimi 20 anni di committenza pubblica a Bologna mi viene in mente il color rosa della mortadella. Di fatto vorrei paragonare una certa tendenza architettonica a questo prodotto tipico della città”. Insomma, complessità e diversità, processualità ed attualità, funzionalità e contremporaneità, sono state tenute pervicacemente alla larga.