Giuseppe Vaccaro e Bologna

In occasione del 70esimo di fondazione della sede storica di Ingegneria, si terrà mercoledì 16 a Bologna (presso l’Aula Magna) la giornata di studi “Giuseppe Vaccaro e la Facoltà di Ingegneria”. ARCOMAI riporta il contributo del Prof. Arch. Giuliano Gresleri pubblicato nel nr. 18 del giornale di DO.CO.MO.MO Italia. Si ringrazia l’autore per la collaborazione.

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© arcomai l Ritratto di Giuseppe Vaccaro all’ingresso della facoltà e la “scatola nera”, allestita per commemorare l’anniversario della fondazione, che documenta con riproduzioni video (Istituto LUCE) e disegni originali la costruzione del complesso progettato dall’architetto bolognese.

Per la cultura architettonica bolognese degli anni Trenta, ma anche per quella del dopoguerra, l’edificio della Scuoia di Applicazione per gli Ingegneri di porta Saragozza voleva dire Giuseppe Vaccaro, I’architetto che lo progettô tra il 1931 e il 1935. La perfezione esecutiva ne fece per i colleghi quasi I”autoritratto” dell’architetto. Un edificio, insomma, in cui i caratteri del manufatto coincidono con quelli del suo autore. In una Bologna molto attenta al dibattito internazionale sulla “nuova architettura” (oggetto di proverbiali dissertazioni tra gli architetti dell’Accademia di Belle Arti e gli ingegneri-architetti della Scuola di Applicazione), l’edificio di Vaccaro ebbe subito una “fortuna critica” fuori dal comune, che lo inserì in quel clima di consenso collettivo, favorito dalle prese di posizione del regime in favore dell’architettura moderna. II periodico dei fascisti locali “L’Assalto” dedicò molta attenzione ai problemi della costruzione della “città universitaria” e portò ad esempio del nuovo stile gli edifici di Mendelsohn, il Weissenhof di Stoccarda e le opere del funzionalismo internazionale. Lo stesso foglio elogiò l’edificio di Vaccaro ricordando che I’opera aveva avuto il plauso di Mussolini quando, nella primavera del 1932, l’ex direttore della scuola Umberto Puppini, l’ingegnere Gustavo Rizzoli e lo stesso Vaccaro gli sottoposero il progetto. Eppure la strada su cui l’architetto si era incamminato contraddiceva palesemente gli indirizzi dell’Ateneo. Gli edifici che sorgevano tra via Zamboni, Ia circonvallazione e via Belmeloro apparivano Ia negazione stessa del criteri progettuali di Vaccaro, ancora giovane progettista, ma fornito di curriculum da professionista affermato.

Tra il 1927 e il 1931 Vaccaro costruisce quattro grandi immobili per Ia Cooperativa Mutilati e Invalidi di Guerra (con Ia relativa sede ottenuta dalla ristrutturazione del seicentesco Oratorio di San Colombano in via Parigi); esce vincitore, con Broggi e Franzi, dal più importante concorso internazionale dell’epoca, quello per Ia sede della Società delle Nazioni a Ginevra. Nel 1928 Si aggiudica, ancora con Franzi, iI concorso per il Palazzo delle Poste e Telegrafi di Napoli che segna con Ia Scuola di Ingegneria un sicuro “passaggio al moderno” e il definitivo superamento delle sue prime prove bolognesi. Nella lunga ricerca, da me diretta con Maristella Casciato e condotta con un nutrito gruppo di ricercatori del Dipartimento di Architettura e Pianificazione Territoriale deIl’Ateneo felsineo, è stata messa in luce una quantità eccezionale di documenti e informazioni. Alcuni ritrovamenti (le foto della tesi del 1920 del suo allievo, conservate da Attilio Muggia e le prove per l’esame di professore di disegno architettonico all’Accademia di Belle Arti del 1918), il progetto per le Terme di Porretta (1926) e altri progetti “perduti”, da soli giustificano l’impegno di un lavoro che e ancora in progress.

A conclusione dei primi anni bolognesi e poi nei primi anni romani, Vaccaro definì con originalità il suo stile che, pur alimentato dalle incerte aspirazioni internazionali dell’architettura bolognese di quegli anni, rivelava una cosI forte capacità di controllo del mestiere quale, nella vita di un professionista, accade solo molto più avanti nel tempo. Da vari anni era assistente di Marcello Piacentini e il suo partner bolognese, Enrico De Angeli, era Ia personalità più colta, vivace e raffinata dell’entourage locale. Partiti da matrici comuni, laureati nello stesso anno, le loro posizioni sono singolari “convergenze parallele”, che Ia polemica di De Angeli sulla incapacità degli italiani di scegliere tra le tendenze moderne (pubblicata sul “Tevere” del 4 giugno 1931) rende in tutta dialetticità. AII’epoca del primi studi per Ia Scuola degli Ingegneri, De Angeli stava costruendo Ia celeberrima villa Gotti in via Putti, il cui cantiere fu contemporaneo a quello di Ingegneria. De Angeli collaborò con Vaccaro da subito, come dimostra Ia documentazione rinvenuta nel suo archivio, e numerosi sono i disegni relativi alla Scuola di Ingegneria. A quell’epoca De Angeli era già un “razionalista” convinto e un’analisi comparata tra I’edificio di Vaccaro e Ia villa mette in evidenza interessanti liason.

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© photo arcomai l Fotografie tratte dal materiale video esposto.

Alla Bologna in cui Guido Lambertini inventava il sistema “Pater” (1931) avviando Ia produzione di prefabbricati in serie, Vaccaro rispose con alcune delle sue più ricche interpretazioni del problema abitativo attraverso Ia messa a punto di modelli “pater cempor” per case a basso costo. Nella organizzazione di tali impianti si coglie bene il rapporto con le contemporanee ricerche delI’amico De Angeli, ma anche quella intuizione distributiva che rende unici i suoi “meccanismi planimetrici”. E’ sorprendente notare come, alla luce di tale “unità costruttiva”, Vaccaro abbia proceduto ad una soluzione radicale del suo linguaggio che acquista continua sicurezza ed espressione inedita. La comparazione tra le due versioni del progetto per Ia casa della Cooperativa Mutilati di porta S. Isaia o per l’unità abitativa di via Tanari (entrambe in collaborazione con l’ingegnere Francesco Fiacchi) mostrano con quale volontà egli abbia saputo ridurre Ia sua architettura all’ordine nuovo che già pienamente era apparso nella Casa del Fascio di Vergato (1931). Non si tratta qui di stabilire come i rapporti personali siano maturati ma, allargando l’angolo di visuale, capire quale rapporto sia intervenuto tra Vaccaro, Ia sua città, il suo ambiente, Ia sua cultura architettonica. II quesito da porsi è: a Bologna c’è sostanza sufficiente perché si possa parlare di un “dialogo” criticamente significativo tra un architetto e la sua città? Fu come se il cantiere per Ia Scuola degli Ingegneri avesse trascinato in città un respiro europeo che Bologna non aveva prima conosciuto. Alberto Legnani, in contatto con gli ambienti dei ClAM, riuscì a replicare al circolo delle Arti Ia mostra sulla “lottizzazione razionale” (Bruxelles 1931). II successo della mostra, accompagnata da una conferenza di Bottoni, reduce con Pollini dal IV ClAM di Atene, fu sensazionale e promosse un interesse vivissimo anche a livello delle massime autorità cittadine. Le prime ipotesi per un nuovo piano regolatore e il concorso per Ia nuova Fiera (1934), vinto da Bottoni, sono intimamente legati a tali eventi.

Sono anche i mesi in cui entrò in funzione (grazie al traforo della “direttissima” Bologna-Firenze) il collegamento rapido tra il sud e il nord del paese. Da Bologna, centro della rete ferroviaria nazionale, si raggiungevano Berlino e Parigi con un giorno di viaggio. Dopo Ia nuova Scuola di Ingegneria si parlò di una nuova stazione e di una nuova via che Ia collegasse al centro storico. II concorso per il rifacimento di via Roma (1936), che vide Vaccaro e Piacentini in commissione, partiva da tali premesse e si concluse quando Ia Scuola Superiore di Ingegneria si trasformò in Facoltà. Di fatto Bologna ha consentito a Vaccaro di mettere alla prova con continuità, in un contesto “misurabile” culturalmente e politicamente “controllabile”, quel patrimonio di dee e di conoscenze tecniche accumulato nel tempo, dall’architettura all’urbanistica, attraverso occasioni che si svilupparono per mezzo secolo. Basti pensare all’esperienza post-bellica, quando Vaccaro ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende che lo videro discutere col sindaco Dozza tutta a storia della pregressa pianificazione bolognese. Con i progetti per i quartieri Barca (1957-62) e IACP di Borgo Panigale (1952-65), il suo contributo di opere e di idee alla ricostruzione della città fu determinante. Come “architetto del Cardinale” (allora Giacomo Lercaro reggeva Ia diocesi) ebbe un ruolo di primo piano nel dibattito che si svolse attorno al programma per Ia dotazione di “nuove chiese” di periferia progettando quella del Cuore Immacolato di Maria (1952-62) e poi quella di S. Giovanni Bosco (1958-67). Qui il pauperismo lercariano (fare “case di Dio come case per gli uomini”) coincide con quella visione della “verità tecnica e costruttiva” che è Ia cifra ricorrente neII’opera vaccariana fin dall’epoca della Facoltà d’Ingegneria. Al di là della banale comparazione referenziale tra le torre di S. Giovanni e quella dell’edificio di Porta Saragozza, l’espressione linguistica della sua architettura post-bellica attinge come sempre a quei valori di “onestà costruttiva, verità e aderenza alla funzione” che furono il credo di quegli anni lontani.

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© arcomai l Planivolumetrico e prospettiva del complesso. Elaborati tratti dal materiale video esposto.

Giuliano Gresleri, architetto. Professore Ordinario di Storia dell’Architettura alla Facoltà di Architettura dell’Università di Bologna (Cesena), è considerato uno dei massimi conoscitori mondiali dell’architettura degli Anni ’30. Importante il suo impegno nell’ambito delle ricerche storiche sulla figura e l’opera di Le Corbusier in rapporto alla cultura architettonica europea e sulla vicende dell’Architettura coloniale italiana. Con Jose Oubrerie ha diretto i lavori per Ia ricostruzione del Padiglione de “L’Esprit Nouveau” a Bologna (1977) e ha fatto parte del Comitato per Ia costruzione della chiesa di Alvar Aalto a Riola (1972) di cui è uscito recentemente un volume edito da Editrice Compositori (Bologna, 2004). Autore di oltre 350 saggi, è presente nelle principali riviste di architettura italiane e straniere (Casabella, Ottagono, A+U, Parametro, Architecture d’haujord’hui, cataloghi Triennale di Milano, ecc.). Le indagini dei suoi studi si spostano frequentemente dal campo dell’analisi storica al campo della storia del restauro e della sua prassi operativa con particolare attenzione al problema della conservazione del Moderno. In questo ambito si segnalano le sue ricerche sulla vicenda architettonica della Modernità a Bologna tra il 1890 e il 1940. Ha fatto parte di numerose giurie di concorsi, ha partecipato e organizzato importanti mostre internazionali, ha progettato e diretto restauri insieme all’esecuzione di piani e progetti di recupero urbano in varie città d’Italia.


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