Bologna si muove: Citta’ per muoversi meglio
L’ultimo incontro della rassegna cittadina dedicata alla mobilità urbana ha visto a confronto le esperienze di diverse città sulle stesse problematiche e con metodiche differenti per affrontarle.
Gianfranco Franz, docente all’Università di Ferrara, nel presentare l’ultimo incontro di Bolognasimuove, programmato nella Sala Senatoriale di Palazzo Ratta, a Bologna, venerdì 26 maggio, ha voluto, in conclusione, sottolineare l’inadeguatezza delle pensiline ATC delle linee pubbliche di autobus, da anni impiegate in città (su disegno di Kazuhide Takahama, designer giapponese da molto tempo in Italia): siccome le infrastrutture debbono essere generative di identità urbana, l’immagine “timida” delle attrezzature delle fermate pubbliche non sembra riscattare adeguatamente la contemporaneità dei tempi. L’esempio rappresenta bene il timore culturale che porta a bandire il moderno dalle città storiche e che contraddistingue parti d’Italia e di Bologna in particolare. E’ vero però anche che Bologna, a differenza di molte altre città, ha scelto di disegnare appositamente il modello delle proprie pensiline, e questo di per sé è già espressione del bisogno di identità, anche se le scelte tecnologiche adottate, i colori di finitura e le attenzioni localizzative, hanno seguito logiche non del tutto in sintonia con i bisogni di affermare anche una precisa qualità urbana.
© arcomai l Allestimento di Mobility, esposizione multimediale di Bolognasimuove, alla Galleria Accursio, dal 28 aprile al 28 maggio 2006.
Francesco Sutti, Presidente di ATC, preso atto della critica, mossa oramai da più parti, al contributo dato alla definizione dell’immagine cittadina, illustrati i numeri che contraddistinguono l’attività dell’azienda dei trasporti cittadini, si è soffermato sugli impegni che attendono a breve per attivare le nuove modalità di trasporto pubblico.
Il People Mover, navetta ferroviaria automatizzata, dovrà collegare il sistema delle Stazioni di Bologna Centrale con il nascituro insediamento universitario del Lazzaretto e terminare nell’aeroporto: per una lunghezza di circa 5km, tre fermate previste, 7 minuti e mezzo di tragitto e 200-260 persone trasportate. Il ravvicinamento tra Bologna e Firenze, che l’attuazione dell’Alta Velocità potrà consentire con soli 20 minuti di percorrenza, potrebbe quindi portare i fiorentini nello scalo aereo internazionale felsineo in circa mezz’ora, in modo competitivo rispetto Pisa. Il TPGV, tram su gomma a guida vincolata, in pratica un filobus di 25 metri, supporterà i collegamenti principali tra il centro città ed il Comune di San Lazzaro nel quadrante est e potrà entrare in funzione nel 2009: le altre direttrici di traffico pubblico urbano sono state di recente stralciate dal progetto originario. Infine, il metrotramvia, veicolo metropolitano dal percorso ibrido (parte in sotterranea e parte in superficie, ma sempre in sede propria), ha visto di recente ridefinito il tracciato per il quale aveva ottenuto il finanziamento, e dovrà collegare il quartiere fieristico con le stazioni centrali della città, il centro storico e deviare verso Borgo Panigale, riemergendo in superficie circa davanti l’Ospedale Maggiore, sulla via Emilia.
E’ quanto meno curioso constatare come la città di Bologna si potrà trovare tra qualche anno a “fare i conti” con ben cinque mezzi di trasporto pubblico impiegati nell’area urbana: i tre veicoli innovativi sopradescritti si affiancheranno ai più tradizionali autobus e treni metropolitani di superficie. Dal momento che da più parti, e ribadito anche all’interno dei convegni di Bolognasimuove, si sottolinea l’assoluta necessità di intermodalità ed integrazione delle reti di trasporto, è difficile apprezzare il senso di scelte che si stanno praticando a Bologna con il “vasto campionario” di soluzioni prospettato, con tutto quello che ne deriva in termini di intercambiabilità, costi di gestione ed implementazione future delle reti. Sembra che di colpo si sia passati dall’assoluta arretratezza di vedute al disorientamento nelle scelte: sappiamo bene che scelte politiche e finanziarie non hanno di certo favorito decisioni ponderate ed oculate, ma forse il tentativo di cercare una mediazione più forte sembra doverosa.
© arcomai l Mobility, esposizione multimediale di Bolognasimuove alla Galleria Accursio: la mobilità europea e le città campione studiate.
La “fresca” esperienza di Torino, sulla scia dell’impulso delle recenti Olimpiadi invernali e del bisogno di riscattare la città da una profonda crisi economica e di identità in cui versava da anni, per il declino industriale che l’aveva colpita, è stata illustrata da Armando Cucuccioni, Direttore di TPL Gruppo Torinese Trasporti. Dalla sintesi di studi molto estesi sui modelli di trasporto presenti su scala planetaria, la società piemontese ha individuato nel modello europeo, in cui si riconosce, una ibridazione tra il modello americano-australiano dell’antropizzazione diffusa e quello asiatico della compressione, da cui la difficoltà di operare scelte equilibrate per il soddisfacimento di tutti i bisogni. Nell’epoca in cui sembra prevalere il concetto di “muoversi per vivere” rispetto al “vivere per muoversi”, i cambiamenti fisici delle città modificano sensibilmente gli stili di vita dei suoi cittadini, ad iniziare dagli orari privilegiati per viverla.
Di fronte ai problemi di mobilità tipici di tutte le città europee, Torino ha cercato in maniera pragmatica di mettere in atto azioni “minimali” e di immediata efficacia, iniziando dal miglioramento dell’accessibilità. Si inquadrano in quest’ottica il potenziamento dei collegamenti con l’aeroporto di Caselle, la realizzazione del passante ferroviario ed il sostegno al progetto della ferrovia ad Alta Capacità con Lione, la ridefinizione dei ruoli delle stazioni cittadine (che vede la rinnovata stazione di Porta Susa accentrare su di sé il compito di protagonista, a scapito della depotenziata Porta Nuova), favorire l’attraversamento veloce dell’area metropolitana (chiudendo l’anello della circonvallazione periferica passando dietro-sotto le colline di Superga), il miglioramento dei collegamenti interni anche dal punto di vista qualitativo, il potenziamento di tutti i possibili parcheggi in corrispondenza delle stazioni e delle principali fermate di mezzi pubblici (proponendo il più possibile soluzioni in sotterranea, per liberare al massimo il suolo urbano, anche in funzione di parcheggi pertinenziali in aree quasi del tutto sprovviste), l’attivazione e diffusione del car sharing: in sostanza, tutti interventi che inducono ad una forte integrazione delle modalità di trasporto.
Pratica ed intelligente è parsa l’esperienza portata dalla città di Karlsruhe da Oliver Glaser, del Department for Planning della città tedesca. Una realtà urbana assai simile, per dimensione e collocazione geografica, a Bologna che ha da molti anni escogitato con successo una soluzione innovativa per i suoi problemi di mobilità: il tram-treno. Si tratta di un veicolo ibrido che può normalmente circolare su tutte le linee ferroviarie ma che entrando in città si “trasforma” in tram in sede propria, con rotaie a raso, semplicemente mutando “al volo” il sistema di tensione di alimentazione elettrica, ottenendo in tal modo una possibilità di collegare, e con molte linee, tutte le parti periferiche con il centro ed in perfetta intermodalità. Il tutto è naturalmente supportato dalla sincronizzazione con gli scambi con le linee di autobus, il car sharing e la possibilità di portare la bici a bordo. Si è riusciti così in pochi anni a far riconquistare l’uso pedonale della città nei centri urbani e ben organizzare tutto l’indotto che gravita attorno agli stessi, tramite un basso costo delle infrastrutture ed una facile intermodalità: con i tempi che corrono, le cose più semplici hanno un pregio in più.
© arcomai l Mobility, esposizione multimediale di Bolognasimuove alla Galleria Accursio: alcuni elementi di studio sulla mobilità.
La città di Napoli vanta di certo un primato nazionale positivo: è stata la prima città italiana ad avere una tratta ferroviaria, nel lontano 1839 collegandosi a Portici, ed ancora la prima a dotarsi di una stazione d’interscambio ferroviario ed a realizzare un passante ferroviario cittadino. Non stupisce pertanto come la città partenopea risulti essere tra le più “ferrate” tra le italiane, ed assieme ad una altissima densità abitativa ha così evitato il collasso della mobilità pubblica. L’esperienza napoletana in corso è stata illustrata da Elena Camerlengo, del Settore Trasporti del Comune, che ha in parte accelerato i progetti in corso da troppi anni ed in parte incrementato le potenzialità dello sfruttamento delle reti ferroviarie interne all’area vesuviana.
Nella continua contesa dello spazio pubblico, da parte di tutto e di tutti, nel tentativo di fare dell’auto “un’opportunità e non una necessità”, cercando di diluire l’intollerabile gerarchia tra centro e periferia, il potenziamento delle linee su ferro per disegnare una rete efficiente in corso da anni a Napoli, appare un lavoro di “paziente ricucitura” urbana e territoriale che sta dando risultati di sicuro effetto. L’incremento delle stazioni e dei nodi d’interscambio è il lavoro più innovativo ed appariscente che si può già apprezzare all’ombra del Vesuvio: innanzitutto, è interessante il pensiero “critico” esercitato nella dislocazione delle fermate, superando il concetto asettico ed un poco astratto del “raggio d’influenza”, che porta generalmente a disporre le fermate in maniera equidistante tra loro, in modo indifferente rispetto le caratteristiche del territorio, ma individuando nella “isocromia”, ossia nella reale praticabilità di tempo rapportato alle condizioni ambientali, orografiche soprattutto, la modalità di distribuire in maniera più efficace le stazioni e di disegnarle anche condizionandole alla morfologia dei luoghi.
Ma l’aspetto più sorprendente degli interventi napoletani e senz’altro la coniugazione cercata con l’arte e l’archeologia (molti artisti sono stati chiamati ad eseguire installazioni dedicate ed i musei cittadini hanno accettato di allestire permanentemente l’esposizione di alcuni loro patrimoni nelle nuove stazioni, specie dei ritrovamenti conseguenti agli scavi operati), oltre che con l’architettura contemporanea (ogni intervento ha visto all’opera progettisti diversi, alcuni di fama internazionale), formando una miscela di esperienze insediative sempre nuove e mutevoli, capaci di significare fortemente i luoghi interessati, anche se alcuni risultati formali appaiono troppo epidermici e di incerta pregnanza espressiva. L’avere visto nella realizzazione di nuove fermate ferroviarie cittadine l’occasione di far crescere culturalmente la città è l’insegnamento magistrale che molti dovrebbero apprendere da Napoli.
Gilles Novarina, Direttore dell’Istituto di Urbanistica di Grenoble, ha esposto le iniziative portate avanti di recente nella città francese per meglio fluidificare la mobilità dei trasporti, puntando molto sul tramvia tradizionale, il cui potenziamento ha comportato un incremento degli utilizzi non consistente, dimostrando che l’intermodalità dei mezzi di movimento è fondamentale per avere risultati tangibili su vasti territori. Di conseguenza, la città sta cercando di incrementare i parcheggi d’interscambio, pensando anche alla ridefinizione degli standards per i parcheggi privati e pubblici, in funzione delle zone insediative e della vicinanza con le reti di trasporto pubblico. Sul fronte della viabilità automobilistica, la città sta valutando attentamente la possibilità di chiudere il circuito della sua tangenziale con un passante nord, che attraversa anche la montagna.
Portland, la città americana gemellata con Bologna e di poco più grande, ha illustrato le sue strategie per la mobilità attraverso il contributo di John Fregonese, Planning Director, che ha cercato di immaginare i suoi bisogni per il 2040 e su questa visione ha puntato tutti gli sforzi per il suo immediato futuro. Se pur di recente formazione come la maggior parte delle città del nuovo continente, Portland sembra rispettare la tradizione urbana e paesaggistica alla “maniera” europea, cercando di preservarne i valori ambientali, sottolineando molto i risultati scenografici sul contesto insediativo. L’eliminazione delle autostrade interne, tipiche delle città nordamericane, a favore dei “sistemi di transito” ha fatto riscoprire dei valori paesaggistici compromessi, tanto da far ritornare le persone in strada (gli autobus non sono a pagamento) stimolando una socialità più intensa e vera.
© arcomai l Mobility, esposizione multimediale di Bolognasimuove alla Galleria Accursio: alcuni elementi di studio sulla mobilità.
Infine, l’esempio della città di Curitiba, una piccola metropoli brasiliana, raccontata da Liana Valicelli (IPPUC), ha dimostrato come possano esistere logiche urbanistiche di sviluppo e di sostenibilità assai diverse di quelle con cui ci confrontiamo in Europa. La forte crescita demografica della città è stata indirizzata dal dopoguerra secondo delle direttrici radiali ben strutturate e pianificate: la parte centrale delle strade principali è riservata ai mezzi pubblici su gomma (una serie molto articolata di autobus e linee di servizio), in parallelo ma ben distanti corrono altre due strade riservate ai mezzi privati. La morfologia urbana che è scaturita da questa pianificazione è quella di avere una fortissima densità in corrispondenza delle vie radiali portanti (con alti grattacieli) che via via si dirada allontanandosi dall’asse attrattore, così che si è sviluppata una città “filamentosa” a densità variabile, strutturata in base alla priorità assegnata al trasporto pubblico, che diviene pertanto l’elemento principale di disegno urbano. L’importanza data alla mobilità sociale è tale che vitali diventano gli snodi d’intercambio delle fermate dei diversi vettori, molto caratterizzati formalmente e funzionalmente, attorno a cui si stanno decentrando molti servizi pubblici-amministrativi, per ottimizzare ulteriormente la mobilità complessiva e rimarcare anche in questo modo il disegno urbano.