La ”forma urbis” del terzo millennio: Bononia docet?
“La forma urbis del terzo millennio” è stato il titolo-contenitore di una serie di convegni tenuti a Bologna il 17 settembre, presso la Sala Farnese di Palazzo d’Accursio, promosso da Artelibro, il festival cittadino del libro d’arte.
Marco Romano, studioso dell’estetica della città, ha sottolineato come questa abbia promosso da sempre dei temi collettivi, che si sono tradotti spesso in opere d’arte, a loro volta fonte d’identità collettiva della comunità. Questa mirabile proliferazione di capolavori è stata per molto tempo il risvolto dell’operato dei “principi” quali concessioni alla loro città, e come tali non sono state mai contestate dalla cittadinanza, in quanto doni. Al contrario, invece, del destino delle opere pubbliche, che sono state e continuano ad essere fonte di molte polemiche: da qui l’esigenza di esprimere il ruolo cittadino, invece che in una singola opera, in opere tematizzate, come le strade principali, le piazze monumentali, i giardini o altro, occasioni per contemplare più interventi architettonici-artistici in successione, da cui le caratteristiche sequenze di scene, tipiche della città europea, fatte di sempre nuovi inserimenti.
L’immagine della città democratica è pertanto egualitaria, lo specchio di se stessa, anche se la nobiltà ha sempre cercato di stare nei luoghi centrali, più vicini ai luoghi di rappresentanza: una possibile soluzione ai problemi delle periferie potrebbe essere pertanto l’inserimento di temi collettivi della contemporaneità, evitando perciò di duplicare quelli storici delle aree centrali; ma anche collegare con strade tematizzate il centro con la periferia, per tenere insieme le diverse parti, continuare a rappresentare nel suo insieme tutta la città, sviluppare un diffuso senso d’appartenenza. Bisogna allora ripensare gli spazi dei nuovi luoghi pubblici ad iniziare dalla loro funzione, prima ancora che collocazione e formalizzazione. Anche il fatto di essere addirittura arrivati a “personalizzare” la città è un fatto puramente europeo, e Bononia docet ne è un esempio calzante, ma le personalità possono cambiare e c’è da chiedersi allora cosa sia diventata quella città oggi.
I quartieri periurbani dovrebbero perciò essere tematizzati, con piazze e strade significative, per essere ben inseriti nel quadro complessivo cittadino ed affrancarli dall’essere isole galleggianti nella campagna. E’ quello che si propone di fare, nei prossimi tre anni, la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, come riferito dal suo presidente Marco Cammellini, con altrettanti selezioni concorsuali e laboratori partecipati, per far emergere la periferia bolognese come “altri” centri da riqualificare, ma bisogna prima cercarne l’identità. Non c’è pertanto bisogno di fare altri musei, teatri o importanti edifici pubblici, è stato il messaggio finale, bensì recuperare le strade come opere collettive e fruibili, possibilmente senza troppi condizionamenti dovuti al traffico veicolare, forse destinato a sparire in un prossimo futuro.
© archivio sartogo architetti associati l Plastico di presentazione del Piano Particolareggiato di Bertalia Lazzaretto.
Perfettamente allineato con questo profilo di pensiero si è dimostrato Piero Sartogo, architetto progettista coordinatore del nuovo insediamento urbano-universitario di Bertalia Lazzaretto, a Bologna, ultimo grande intervento urbano previsto dal vecchio PRG vigente ad essere avviato. Infatti, dell’imbarazzo avuto a dover progettare con i forti condizionamenti infrastrutturali presenti nell’ampia area d’intervento ha voluto subito evidenziare il progettista romano, ed il sofferto risultato finale ne è la chiara riprova, non essendo stato in grado di coinvolgere la grande viabilità ed il people mover nel suo disegno generale (l’unica fermata nel tragitto stazione-aeroporto e proprio in quest’area). L’impronta ideologica del progetto è infatti la volontà di costruire in continuità con i modelli storici, in cui era la visione del pedone a dettare le regole prospettiche (da cui l’abbondanza di percorsi “porticati”) e non già la dinamicità delle visioni automobilistiche d’oggi: le strette relazioni tra i vuoti dello scenario urbano interno proposto sono pertanto le matrici spaziali principali, mentre alcuni traguardi visivi posti ai margini dell’edificato dovrebbero evocare il rapporto con l’intorno, così mediato (come gli obelischi, posti nel Piano per Roma da Sisto V, nel suo vicino agro!).
L’area del Lazzaretto è rimasta vuota e pressoché inedificata per lungo tempo semplicemente perché circondata da infrastrutture importanti (fiume, ferrovie), quindi emarginata, e questo sistema ferreo di condizionamenti doveva, nello spirito dell’attualità, diventare invece un suo punto di forza e non tanto un ostacolo. Interessante è invece la concezione dell’insediamento universitario visto come sistema urbano-residenziale, non un campus tradizionale e monotematico ma un insieme più articolato anche nelle funzioni, com’anche il fatto che il Piano Particolareggiato, di recente approvato dopo il Concorso del lontano 2000, concepisce un’inevitabile realizzazione con apporti plurimi ma ben organizzati, fissando regole precise di disposizione, in grado di conservare almeno unitarietà negli interventi, per cui possiamo sperare la sua attuazione con un’immagine aggiornata. In questo nuovo scenario urbano si inserisce straordinariamente la progettazione affidata a Richard Meier di un edificio della Facoltà d’Ingegneria: significativo è che la “nostrana forza del mattone” è riuscita perfino ad imporsi anche su una delle griffe più cristallizzate dello scenario internazionale, anche se il laterizio risulta sbiancato ma si è sostituito al pannello d’acciaio smaltato!
L’architetto Mario Cuninella, d’adozione bolognese, contrapponendosi alle visioni troppo storicizzate di chi lo ha preceduto negli interventi in sala, e riferendosi anche all’attualità della Biennale d’Architettura di Venezia dedicata alle metropoli, si è soffermato sulle realtà europee delle “galassie dei sistemi urbani”, non tanto metropoli ma conurbazioni a scala regionali, con valori gerarchici distinti al loro interno. Bologna appartiene ad una di queste, la “galassia padana” ed è una “città seconda”, rispetto a Milano-Torino. Bologna è però una formidabile città delle relazioni, non solo come incrocio viabilistico fondamentale per l’Italia, che può attrarre risorse e se potenziate può crescere ancora in qualità. E’ fondamentale pertanto immaginare la città nuova, necessariamente diversa dal modello storico divenuto anacronistico, una città fatta di nuove centralità, da sviluppare attorno alla Sede Unica Comunale (di cui è autore), la stazione dell’Alta Velocità, l’Università, la Fiera… In questo, la costruzione d’edifici pubblici dovrebbe sempre coincidere con la costruzione d’altrettanti spazi pubblici, all’interno dell’urbanistica delle “aree dinamiche”, di piccola scala, dove l’architettura è fondamentale protagonista.
© arcomai l L’intervento urbanistico d’Euralille, sul bordo storico della città francese di Lille, ha proposto un’ultra-moderna porta alla città, coniugando assieme un parco urbano, un centro commerciale e direzionale, alberghi, parcheggi interrati, ferrovie nazionali e del TGV, dando fisicità alla concezione della città complessa, profonda e veloce, evocata da Rem Koolhaas in molte sue riflessioni sulla postmodernità.
Per Marco Buriani, Presidente del Collegio Costruttori Edili di Bologna, è di fondamentale importanza il buon collegamento dei quartieri periferici, condividendo appieno la priorità che si sta dando finalmente alle infrastrutture, auspicando la nascita con queste d’importanti nuove polarità, sull’esempio d’Euralille a Lille, avviato con l’arrivo del TGV. In sostanza, i nuovi spazi legati alla mobilità urbana devono trasformarsi da “non luoghi” a centri di promozione cittadina, quindi occasioni d’intervento da sfruttare appieno. Altro tema ritenuto importante è il ridisegno del sistema dei parchi urbani per assorbire i cunei agricoli, inedificabili ma anche spesso privi di significato concreto, dal momento che gli spazi verdi sono di primaria importanza per la qualità della vita: con questo si auspica forse di riuscire a portare in periferia dei nuovi luoghi di rappresentanza, vicino ai nuovi insediamenti.
Per Rita Finzi, del Consorzio Cooperative Costruzioni, l’inevitabile continua forte inurbazione pone con evidenza il problema dell’edilizia a basso costo, pure marginalizzato dal recente dibattito disciplinare architettonico. La definizione di un nuovo rapporto tra costruzione e progetto dovrebbe superare la monocultura della conservazione, nei modelli utilizzati da tempo nello scenario cittadino, e dirigersi più decisamente verso la sperimentazione, affidandosi anche alle pratiche dei concorsi d’idee per ottenere una qualità diffusa negli interventi. Dal momento che buona parte dell’immagine “falsata” cittadina è dovuta alle realizzazioni residenziali che hanno imposto forme e materiali “tranquillizzanti”, le affermazioni suddette appaiono incoraggianti e non poco autocritiche.
Infine, esemplare è parso il contributo portato da Antonio Bassolino, Presidente della Regione Campania, già Sindaco di Napoli, uno dei principali promotori della “cura del ferro” a cui si sta sottoponendo la città partenopea. A parte gli importanti risvolti sul funzionamento urbano delle mobilità pubbliche alternative, il punto d’eccellenza dell’esperienza napoletana sta nel coinvolgimento di molti architetti ed artisti di qualità: le “stazioni dell’arte” (metrò, ferrovie) obbligano tutti ad avere a che fare con la cultura ed è una formidabile iniziativa politica, dove la qualità di questi interventi diventa qualità urbana per esteso. Non è facile vedere tanta arte associata agli interventi di trasformazione e crescita urbana, neppure a Bologna, anzi, e sembra che la facoltà di disporre del “2×1000” per integrare opere d’arte nelle pubbliche realizzazioni sia dimenticato da tutti.
In tutto questo parlare e dibattere non si è affatto coinvolto un gran che Bologna, i suoi problemi, i suoi scenari prossimi venturi, di non poca importanza: i suoi destini sono decisi in ben altre sedi e con ben altri interlocutori, ma forse, almeno in rappresentanza dei tanti progettisti convenuti, qualche domanda su chi e come sta pensando alla “nuova forma Urbana” della città qualcuno di titolato poteva porla: non certo fornire soluzioni, ma avanzare quesiti e confrontare idee per lo meno!