Why Italy now?

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Italy. A New Architectural Landscape, copertina.

“Why Italy now?” might well be your immediate response to this issue of AD. Con questo quesito Helen Castle apre l’editoriale del numero di maggio-giugno dal titolo Italy. A New Architectural Landscape che la nota rivista di architettura britannica ha dedicato all’architettura italiana di oggi. Domanda spiazzante che la direttrice di Weley (la casa editrice che stampa Architectural Design) sembra voler pronunciare prima che lo faccia il lettore, sorpreso dal titolo della volume. Sì perché il tema è complesso e non certo semplificato dall’uso del termine landscape che, sebbene traduca alla lettera il nostro paesaggio – che qui è architettonico – ne sottolinea le differenze non solo etimologiche: mentre in inglese la radice della parola è land – quindi terra – in italiano è paese vale a dire ciò che si è costruito nel tempo, ciò che è abitato, ciò che esprime l’unicità di un luogo; nel contempo è un’entità difficile da ritrarre in un solo quadro, tanto meno utilizzando un’unica gamma di colori. Infatti, a scanso di equivoci, Helen chiude il suo contributo specificando che “This clarity of form should not be mistaked as oversimplification in itsellf. It is a means of giving expresion to what is often a complex situation, described with such insight by Prestinenza himself in his introduction.”

Is it possibile to speak of a new Italian architecture? Con un’altra domanda inizia pure l’introduzione di Luigi Prestinenza Pugliesi, il curatore del questo numero di AD, intitolata Complexity and Contradiction. Anche lui gioca d’anticipo, consapevole della delicatezza dell’argomento. Parlare di nuova architettura italiana è cosa ambiziosa e difficile, soprattutto se ci si rivolge ad un pubblico straniero. P. Puglisi lo sa bene e decide per prima cosa di raccontare al lettore cinque storie di cronaca architettonica in modo che questi sia in grado di capire in quale contesto opera la grande famiglia degli architetti in Italia da lui suddivisi in tre generazioni: The Superstars, The Middle Generation e The Young Generation. Tra queste storie la più significativa è quella ritratta in copertina: le Gocce (Teardrops) il defunto padiglione informativo del Comune di Bologna progettato da Mario Cucinella (middle generation) nel 2003 e rimosso con “atto riformista” all’indomani dell’insediamento del nuovo sindaco della città (Sergio Cofferati) eletto alle amministrative del 2004. Una vicenda tragicomica tutta made in Italy che non ho difficoltà a definire un caso nazionale rapidamente dimenticato; un’opera che non ha avuto il tempo di invecchiare per diventare “nuovo”, di “fare paesaggio” (urbano).

Paesaggio che qui è “parziale” perché tracciato attorno alla “geografia delle relazioni” che L.P.Puglisi e A. Baldini (attraverso le rispettive newsletters) sono riusciti a tessere – con eroico impegno e a tempo pieno – sulla rete. Una mappa accreditata da alcune grandi firme internazionali, dove i capoluoghi di Torino, Milano, Roma e Napoli mantengono il primato, mentre la provincia viene valorizzata qua e là da qualche bell’esempio di architettura contemporanea. Ma è anche una Italia con qualche gaps (vedi tutta la fascia dell’arco alpino dove l’industria del turismo produce tanto), qui riempite dai progetti non per l’Italia che coprono un quinto delle immagini pubblicate; un Paese che nella sua singolarità europea mostra l’evidente incapacità/impossibilità da parte dei nostri architetti di “fare sistema” (se non attorno a “progetti di gruppo” quale quello utopico di VEMA) nonché delle “scuole”, degli Ordini e della committenza pubblica di metterli nelle condizioni di accreditarsi all’estero come New Italian architecture.

Per chi conosce le questioni dell’architettura italiana, questo volume va ad integrare una pubblicistica che recentemente il GdA ha censito in 200 opere di giovani progettisti italiani (nr. 48, febbraio 2007) commentando quattro pubblicazioni che da diversi punti di vista hanno trattato lo stesso tema. Per chi, invece, è all’oscuro di tutto questo, o sa poco della nostra realtà locale perché come architetto non vi ha mai lavorato, questa iniziativa editoriale può assumere significati inattesi, può stimolare curiosità ed interesse in un pubblico (quello britannico) che tradizionalmente è affezionato al landscape italiano delle belle colline del Chianti così come ad alcuni suggestivi scorci della costa ligure o alle ville palladiane sparse nelle campagne venete. Per chi invece vive e lavora all’estero e crede che il nostro modo di fare autocritica e’ meglio a volte che non venga tradotto (vedi introduzione: ” … troppe volte si e’ avuta e si ha […] la sensazione che molti concorsi di progettazione siano manovrati in cambio di favori, […], che i giudizi critici siano falsati da interessi professionali o accademici e che la stessa gestione di alcune riviste di architettura […] segua il vento di questo o quell’altro incarico…”), mi rivolgo ad un immaginario collega del Regno Unito – che ha letto il numero di AD – chiedendogli What do you think about the Italian architecture now?


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