Clip/Stamp/Fold: quando l’architettura non si mostrava sulle copertine dei magazines
© arcomai l Clip/Stamp/Fold: The Radical Architecture of Little Magazines 196X-197X, le copertine di alcune riviste in mostra.
Gli anni ’60 e ’70 sono nell’immaginario collettivo un periodo importante della storia moderna mondiale segnato da eventi come la Guerra in Vietnam, la Parigi delle contestazioni, il Watergate, la Guerra Fredda, l’atterraggio sulla Luna. Per chi allora studiava, pensava o faceva architettura sono stati decenni di profondo dibattito, confronto e critica grazie anche ad un’eccezionale proliferazione di pubblicazioni “indipendenti” di architettura che, come luoghi virtuali di discussione, tentavano di rinnovare – istigando a cambiamenti “radicali” – la cultura (non solo architettonica) di una società’ in profonda trasformazione. La Architectural Association celebra fino al 7 Dicembre quell’esperienza con una “retrospettiva per copertine” dal titolo Clip/Stamp/Fold: the radical architecture of Little Magazines 196X-197X.
La mostra – curata dalla professoressa Beatriz Colomina – e’ itinerante e nasce da un progetto della School of Architecture di Princeton come frutto del lavoro di un team di ricercatori che in due anni ha raccolto e selezionato una vasta quantità’ di materiale editoriale insieme ad interviste e testimonianze dirette che hanno visto come protagonisti proprio i fondatori, redattori, teorici e architetti che hanno dato vita alle pubblicazioni qui esposte. E’ dalle appassionate testimonianze di questi che si delinea lo spirito e le aspirazioni dei giovani di allora, accomunati da un profondo senso di ribellione – qui in modo riduttivo codificato come “radicale” – che si espresse contemporaneamente in diverse parti del mondo attraverso uno scoordinato ma a volte efficace “piano politico” che mirava alla ridefinizione della disciplina interna e alla destabilizzazione del potere accademico.
© arcomai l Clip/Stamp/Fold: The Radical Architecture of Little Magazines 196X-197X, le copertine di alcune riviste in mostra
Grahame Shane, editore di Actions Comuniations Centre and Symbols, racconta che all’epoca avevano in mente una sorta di Time Out per documentare le lezioni/conferenze in programma nelle diverse scuole inglesi di architettura. La stessa popolarissima “guida all’intrattenimento”, spiega Shane, non a caso e’ stato inventato da un giovane studente di architettura. Andrea Branzi citando il suo articolo del ’72 su Casabella ci dice che Superstudio non rappresentava per nulla l’architettura radicale: “Superstudio represents a very coherent case of strategic research born in that context and later developed into those disasters that they are building now. This means nothing about the Radical as a whole. If somebody knows how to look, already at that time they had an attitude that was basically reactionary and academic”. Sempre riguardo a Casabella, Alessandro Mendini ci dice invece come l’idea di pubblicare sulla copertina del n.367 il famoso “gorilla” fosse stata concepita dopo una visita al Museo di Storia Naturale di New York.
Peter Cook racconta come l’idea di far nascere Archigram fosse venuta casualmente durante un incontro tra amici. Da subito fu chiaro che cio’ che loro volevano era non una rivista di concezione tradizionale ma per l’appunto una “gram”, uno strumento di comunicazione agile ed “immediato” come un areogramma o un telegramma. Il formato di 15 x 9 pollici fu scelto non per motivi estetici ma per ragioni meramente economiche visto che quel taglio era quello ideale per l’uso del sistema “offset lotho printing” con il quale si poteva riprodurre a buon prezzo testi, disegni e schizzi senza la necessita’ di avere particolari conoscenze tecniche. Anche il nome della giapponese Architext portava con se la voglia di “nuovo”: la seconda “c” e’ sostituta da un a ”x”, stava a rappresentare – come ci spiega Minoru Takeyama – la negazione dell’idea di un architetto convenzionale e al tempo stesso la voglia di pensare ad un nuovo mezzo (text) che qui diventa una grande pagina più’ volte piegata ad ottenere un formato quadrato (21×21 centimetri), inviabile per posta come semplice lettera ordinaria.
Clip/Stamp/Fold: The Radical Architecture of Little Magazines 196X-197X, pianta dell’installazione.
Critica nei confronti di Archgram era ARse perche’ – come dice David Wild – “… everything that they proposing was a rip-off of Russian Costructivism without the politics”. Carattezzata da una forte impronta politica di sinistra, la rivista aveva l’ambizione di porsi come organo “anti-advertising” nei riguardi di testate prestigiose quali la Architectural Review. E’ singolare come il nome della rivista variasse da numero a numero secondo un gioco di acronimi: “Architects for a Really Socialist Environment,” “Architectural Radicals, Students & Educators” o addirittura “Arse” che in inglese significa volgarmente “culo”. Argomenti del terzo numero della rivista spaziavano dall’edilizia all’occupazione delle case a Londra, dal razzismo ai diritti dei lavoratori, fino alla documentazione di una protesta orchestrata dalla redazione contro una lezione di Buckminster Fuller, considerato lo “Ambassador-Priest of United States Technological Imperialism.”
Figura importante della scena inglese di quegli anni e’ quella di Peter Murrey il quale ci racconta come Clip-Kit: Studies in Environmental Design da lui, fondata nel 1966, fosse il risultato di una collaborazione con la AA. Caratteristica della rivista era l’inedito rapporto instaurato col lettore il quale, comprando il primo volume fatto di poche pagine, riceveva nei mesi successivi delle altre, il tutto raccoglibile (“clip”) dentro una busta di plastica prodotta da una ditta che a sua volta pubblicizzava all’interno dell’opuscolo i propri prodotti. Ampio spazio era anche dato a tecnologie alternative come quelle spaziali, ai sistemi a capsula e ai materiali pneumatici e prefabbricati, tutti prodotti adottati da designers come Cedric Price, Michael Webb, Nicholas Grimshaw qui pubblicati. Murrey fu anche direttore/redattore di Megascope, fondata due anni prima insieme a Dean Sherwin. La vita della rivista duro’ solo cinque numeri e la sua fine coincise col trasferimento di molti dei suoi redattori proprio alla Architectural Association dove da li’ a poco prenderà’ vita Clip-Kit. L’idea editoriale aveva come obiettivo quello di mettere in rete tutte le scuole del Regno e manifestare il disagio dei giovani nei riguardi della chiusura delle scuole indipendenti costrette ad essere assorbite dal sistema universitario.
© arcomai l Clip/Stamp/Fold: The Radical Architecture of Little Magazines 196X-197X. l’allestimento.
L’allestimento presenta una selezione di una settantina di pubblicazioni (riviste, giornali, opuscoli, pamphlets) di vari formati provenienti da collezioni private. Scopo dell’operazione e’ quello di cercare di comprendere le motivazioni all’origine di questi fenomeni editoriali, individuare possibili tracce di influenza sull’architettura di oggi e invitare a riflessioni sull’uso dei media nel mondo del design. Tra i nomi poco noti de A.M.C., Net, Skyline, Connection, I.S., Ekistics e Opposition troviamo anche testate oggi consolidate come L’Architecture d’Aujourd’hui, BAU, Architectural Design, Casabella, Japan Architect, Domus, Lotus.
Nella piccola sala espositiva il materiale e’ organizzato secondo tre sezioni: il timeline che, scorrendo lungo le pareti, mappa le esperienze più’ rilevanti in un arco di tempo che va dal 1962 al 1979; una selezione di riviste originali racchiuse dentro “bolle” di plexiglass secondo specifiche tematiche (ecologia e riviste fai da te, critica e origine della teoria, riviste studentesche e magazines di scuole di architecture, editoria effimera e opuscoli); le testimonianze dei protagonisti di quegli anni grazie all’utilizzo di schermi e supporti audio; la ristampa (a mo’ di facsimile) di alcune riviste oramai estinte; il tutto riassunto in una colorita “carta da parati” composta da piu’ di 700 copertine.
© arcomai l Clip/Stamp/Fold: The Radical Architecture of Little Magazines 196X-197X, l’allestimento.
Da questa mostra ne esce fuori un quadro storico vasto e sfuggente, una eredita’ contraddittoria e paradossale, una esperienza “multi-culturale” irripetibile e complessa, in cui la grafica si imponeva come ricerca di linguaggio internazionale per comunicare oltre i confini fisici e culturali. Indipendentemente dai formati, dalla periodicità’ e longevità’ di queste pubblicazioni si evince la comune voglia di esprimere disappunto, sfogo, disagio, protesta e politica, a volte anche con malizia e ironia. Si pubblicava di tutto senza la necessita’ di approfondire, spesso senza una chiara linea editoriale perché’ c’era la fretta di dire, incontrarsi, manifestare, prendere contatti e stampare, cosi’ come succede oggi nella giungla della community globalizzata della rete. Qualcuno ha visto in quel modo di fare e raccogliere informazioni una sorta di primitivo database, se non addirittura le origini di internet. La differenza tra loro e noi era che nel loro “immaginario di carta” non c’era praticamente nessun architetto o edificio da mostrare; la “avanguardia” nasceva e si formava in luoghi fisici, in città’ reali (Londra. Tokio, Firenze e Graz). Sebbene oggi abbiamo gli strumenti sofisticatissimi per comunicare qualsiasi cosa la nostra conoscenza e’ quella compartimentale delle newsletters e dei blog, per questo siamo incapace di “guardare avanti” come i giovani degli anni ’60 e ’70.
© arcomai l Clip/Stamp/Fold: The Radical Architecture of Little Magazines 196X-197X, l’allestimento.