L’astrazione per superare la complessita’ della geometria
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ARCOMAI pubblica l’articolo dal titolo Ecco come gestiamo geometrie complesse: usiamo l’astrazione scritto per il numero 74 (Giugno 2009) de Il Giornale dell’Architettura . Ringraziamo la redazione de Il Giornale dell’Architettura per la collaborazione.
© Sawako Kaijima & Panagiotis Michalatos l Modelli digitali parametrici.
Adams Kara Taylor (AKT) è uno degli studi d’ingegneria britannici oggi più all’avanguardia. Il suo nome è solitamente legato ad architetture caratterizzate da geometrie particolarmente complesse, elaborate da studi di progettazione del calibro di Zaha Hadid, Future Systems o FOA. Il «Giornale dell’Architettura» ha incontrato Sawako Kaijima e Panagiotis Michalatos, responsabili del dipartimento dedicato al computational design nello studio, definito dall’acronimo «p.art» (Parametric Applied Research Team).
Nicola Desiderio. Come si articola il vostro rapporto con gli studi di architettura? Qual è il vostro grado d’interazione con essi, considerando gli strumenti che utilizzate?
Sawako Kaijima & Panagiotis Michalatos. Parte del nostro lavoro è progettazione di software, attuata mediante algoritmi e strumenti numerici all’interno di pacchetti esistenti. In particolare, si tratta d’interfacce elaborate a uso dei nostri contatti, che non sono solo architetti. Nel tempo abbiamo sempre dedicato tempo allo sviluppo di user interface che tentano di svelare e comunicare il funzionamento di ogni algoritmo o metodo impiegato, allo scopo di superare il concetto della «scatola nera» degli strumenti digitali e favorire una manipolazione più visuale e intuitiva delle quantità di progetto.
ND. Pensate quindi che si debba in qualche modo andare oltre un dominio puramente «computazionale » del lavoro?
SK&PM. Il computational design non può svincolarsi dalla computation, come dice la parola stessa. C’è comunque bisogno di renderlo più attraente e meno sofisticato. Con il tempo evolverà verso strumenti utili alla produzione dell’architettura e non più esclusivi per pochi. Se poi per computational design s’intende il rapporto della progettazione con le descrizioni quantitative e le tecniche numeriche mediato dal digitale attraverso strumenti di programmazione (visuale o testuale), è importante evidenziare come esso non sia in sé un mestiere autonomo nel campo progettuale. È legato sempre alla gestione di quantità numeriche e all’accesso alla rete.
ND. In che direzione pensate debba avvenire questa evoluzione del profile professionale?
SK&PM. Nel momento in cui descrizione e rappresentazione divengono numerici, piuttosto che entità puramente geometriche, allora aumentano le opportunità per una naturale incorporazione di diverse questioni in architettura, mediante un nuovo luogo di contatto e scambio tra discipline. Un obiettivo del computational design è e sarà quello di esperire il punto di fusione tra i me todi, le tecniche e le descrizioni che sono state sviluppate per lungo tempo indipendentemente, nell’isolamento delle loro rispettive discipline. Inoltre, potrebbe aiutare l’unificare le diverse fasi della progettazione e del processo produttivo passando da un paradigma che guarda al progetto come «forma ideale», corrotta dalla realizzazione, verso quello di una serie di modelli digitali arricchiti dal reale.
ND. Quali altri rischi vedete oltre all’autoreferenzialità?
SK&PM. Qualche volta si è fatto un uso inappropriato del computational design allo scopo d’impressionare il pubblico (e quindi il cliente), mostrando una visione fantascientifica delle costruzioni. Questo, oltre a creare malintesi, ha alimentato sospetti e scetticismo verso il digitale in architettura. L’altro aspetto delicato viene dall’ingresso del concetto di «complessità», con evidenti effetti negativi. Il fatto che ci siano oggi generazioni di persone che sono cresciute con internet, videogiochi e media digitali ci fa credere che in futuro il rapporto con il digitale in architettura sarà più pragmatico e meno speculativo.
ND. Qual è la vostra opinione rispetto al software come «generatore» di forme?
SK&PM. In molti dei nostri progetti sviluppiamo interfacce piuttosto che «generatori di forme»: lo sviluppo software segue l’intuizione molto più spesso di quanto la preceda. In questi casi il software non come «martello» (uno strumento di produzione) ma come «microscopio» (uno strumento di osservazione) che ti permette di capire le conseguenze di un’azione e prendere decisioni di conseguenza, grazie ovviamente a una certa fluidità d’uso degli strumenti.
ND. In che modo in particolare sviluppate i vostri strumenti?
SK&PM. Ci sono diversi aspetti. Inizialmente, sviluppiamo strumenti per aiutarci a tradurre in modalità più intelligenti le informazioni tra la progettazione e i pacchetti strutturali [principalmente sotistick, SAP e robot , oltre a strumenti FE sviluppati in proprio per la ricerca, n.d.r.]. Provando a colmare le lacune tra le due discipline a livello del softsoftware, si scoprono più tensioni fondamentali che spaccature. Inoltre, abbiamo sviluppato librerie di programmazione (class) che riducono i tempi di sviluppo del software da settimane a pochi giorni su temi che vanno dalla geometria, alla matematica, fino a visualizzazione ottimizzata e interazione. Con questo tipo di arsenale si rende possibile la personalizzazione del software per un determinato progetto. In relazione al progetto e al grado di coinvolgimento delle diverse parti coinvolte, la nostra soluzione potrebbe prendere la forma di un’applicazione stand-alone, o di un plug-in per una data piattaforma software. Per farlo lavoriamo con qualsiasi programma usino i nostri clienti, grazie ai SDK (Software Development Kits), e recentemente abbiamo apprezzato l’approccio alla flessibilità usato da Rhinoceros, prima con Open-Nurbs e poi con Grasshopper. Gli architetti tendono a porre troppa enfasi sul modello e in particolare sulla geometria, fornendo a volte informazioni carenti. Costruire un modello strutturale non è sempre semplice come ottenere una geometria wireframe e aggiungere dati come le condizioni del contesto. Spesso abbiamo bisogno di predisporre funzioni per la traduzione delle informazioni che favoriscono gli scambi, apportando i necessari aggiustamenti del modello prima che sia pronto per l’analisi.
© Sawako Kaijima & Panagiotis Michalatos l Modelli digitali parametrici.
Sawako Kaijima l In 2005, she graduated with a Master of Architecture from Massachusetts Institute of Technology after having previously studied in Keio University, Japan, where she earned her Bachelor of Arts in Environmental Information majoring in Media Design. Her studies in MIT focused on developing design methodologies that aims to syntheses the multi-relational aspect of the design by means of digital computation. Specifically, she developed projects and design solution that are highly integrated with environmental information, which were presented at various schools including MIT, University of Pennsylvania, Architectural Association, and University of East London. Sawako has worked in a variety of fields including architecture, engineering, product design, and advertisement industries.
Panagiotis Michalatos l Studied Architecture at NTUA Athens Greece and graduated in 2001. He then went to Sweden to study at the art and technology course in Gothenburg a program jointly organized by Chalmers and IT-Universitet. His studies focused on the development of real time motion analysis software for interactive projections in public spaces, and development of a multi user real time architectural design software based on parametric objects that allows multiple people to work on the same model synchronically by employing a server client model. Panagiotis worked as a programmer in the fields of interaction design and architecture and developed experimental computer games. He collaborated with choreographer Cristina Caprioli [CCAP] in Stockholm, developing software for her performances that generates patterns that react to or reinterpret the dancers’ movements.