‘Yellow Diamond’: la mobilita’ per una sostenibilita’ del consenso
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Caricatura di Jaime Lerner ad opera di Luiz Fernando A. Pereira Jr. pubblicata in Coluna do Leitor del 20/07/2009.
Sono arrivato con una mezz’ora di anticipo, qui alla RIBA. Non ricordo l’ora precisa della lecture che Jaime Lerner terra’ questa sera. Al momento la sala conferenze e’ pressoché’ vuota. Solo una decina di persone sedute qua e la’. Gli sguardi si incrociano per cercare di capire se ci si conosca; se ci si sia mai incontrati qui o altrove a Londra. Al momento mi trovo in pole position anche se seduto in terza fila. La prima e’ riservata; e la seconda rimane sempre la “prima degli stupidi”, per usare un termine motociclistico. Approfitto della totale illuminazione della sala soffermandomi a guardare l’austero rivestimento in legno delle pareti.
Il mio posto e’ lungo il corridoio che divide la platea “just in case” – se terribilmente annoiato – abbia bisogno di una via di fuga. Lancio un altro sguardo in giro, sembra ancora tutto fermo. Sfilo cosi’ un libro che da qualche giorno mi porto in borsa. E’ intitolato Shape of community – Realization of Human potential. I due coautori Serge Chermayeff e Alexander Tzonis spiegano, nel lontano 1975, come l’incremento dei trasporti e delle comunicazioni siano tra le principali cause della distruzione dei luoghi di incontro e del senso di comunità’. Lo avevo trovato per caso in un negozio di libri usati nei pressi dallo stadio dell’Arsenal. Ho iniziato a leggerlo solo ieri durante il viaggio in metropolitana che mi porta solitamente a North Greenwich, dove si trova il nuovo headquarter di Croosrail, la joint venture tra Department for Transport (DFT) e Transport for London (TFL) che e’ a capo del progetto della nuova linea ferroviaria suburbana che dal 2018 collegherà l’est con l’ovest di Londra.
Non appena finito di leggere la seconda pagina, mi sento chiamare. E’ John, un collega per l’appunto di Crossrail. Lui e’ uno dello staff che supervisiona le stazioni centrali della nuova del progetto Crossrail. Ci conosciamo da piu’ di un anno e mezzo. Mi chiede se si può’ sedere a fianco a me, ed io: “Sure, Jhon”. Prima che aggiunga parola, parte in quarta aggiornandomi sugli sviluppi della nuova stazione di Farringdon, su cui ho iniziato a lavorare da qualche settimana. Dopo un po’ lo interrompo chiedendogli i motivi che stanno dietro alla richiesta della società’ di ridimensionare la mia stazione eliminando una delle due ticket hall. Lui sorride e mi ricorda che il prossimo anno si vota e poi a bassa voce sussurra “Yellow diamond”. Capisco che e’ una sorta di espressione in gergo e, quindi, chiedo spiegazioni. Non appena Jhon riprende a parlare d’un tratto il brusio si alza in sala. Scende verso il palco un gruppetto di persone. Riconosco tra loro il presidente della RIBA Sunand Prasad. Lerner e’ con lui, riconoscibile dalla inconfondibile stazza e dal suo solito completo nero. Mi giro e la sala e’ magicamente piena. Non appena Lerner prende posto in prima fila, Prasad si alza, vi avvicina al pulpito e, pronunciando poche battute, presenta l’ospite. Dalla fretta del presidente realizzo che forse non ero io in anticipo ma la “corte” della RIBA ad essere in ritardo.
Dopo un paio di frasi di rito, Lerner sentenzia: “It is possible”. La sala rimane in silenzio; sembra ammutolita. L’oratore, soddisfatto dell’effetto sorpresa, continua rassicurando il pubblico che da li’ a poco andrà’ a spiegare il senso di siffatta affermazione. E lo fa con una serie di altrettante frasi sintetiche e d’effetto, pronunciate in una sorta di “crescendo rossiniano”: “Abbiamo tutti un approccio pessimistico riguardo al futuro” […] “It is all about a dream” […] ”Se non riesci a realizzare un sogno, non ti preoccupare ci sara’ un’altra grande opportunità’” […] “Ho sempre avuta una seconda possibilità’ nella mia vita fortunata”. Il messaggio e’ ora chiaro: le carenze possono diventare risorse se si hai la capacita’ di saper vedere le possibilità’ al di la’ del problema. Chairito il dilemma, lo stesso si sente ora pronto a lanciare luna nuova sentenza aggiungendo: “City is not a problem, city is a solution”. E’ stata finalmente detta la parola magica: città’. La lecture e’ ora pronta per entrare nel vivo.
Il relatore fa cosi’ scorrere la serie di diapositive facenti parte della sua presentazione. E’ sicuro, disinvolto e sincronizzato. Deve aver ripetuto le stesse argomentazioni in molte alter sale. Orgoglioso si sofferma sulla nota figura che ritrae un’automobile nera con i denti asserragliati ad esorcizzare il male chinato “mezzo privato”. Poi tranquillizza tutti con l’immagine della tartaruga, la cui corazza e’ per lui metafora di modello urbano.
Lerber e’ noto per essere stato sindaco per ben tre mandati della città’ di Curitiba in Brasile, durante i quali ha ristrutturato il sistema del servizio pubblico di trasporto mediante il rafforzamento del sistema su gomma. La RIBA lo ha invitato per conoscere le sue “visionary ideas” riguardo le città’ e le loro prospettive di sviluppo con un occhio particolare ai temi legati alla mobilita’ e alla sostenibilita’ che lui sintetizza in questi 5 punti: “1) make cars unnecessary; 2) separate the garbage and recycle; 3) integrate work areas with habitation; 4) save the maximum, waste the minimum; and 5) make facilities multiple-use.” Il primo punto e’ stato da lui risolto introducendo un sistema di bus rapid transit che da un’iniziale utenza di 600.000 persone, e’ oggi capace di servire 2.300.000 passeggeri. “Avevamo bisogno di una metropolitana ma non avevamo i soldi per realizzarla, cosi’ si e’ pensato di aumentare gli autobus portandoli ad una frequenza pari a quella di una metro”. Questa componente tecnica insieme alle boarding facilities sono state alla base del successo della sua formula in materia di politiche del traffico.
La spiegazione sembra convincente. Un po’ meno quando afferma che un sistema della mobilita’ moderno deve prevedere che i diversi mezzi di trasporto si muovano rigorosamente in sedi proprie. Teorie queste che – oltre ad essere superate da più’ di un decennio per chi si occupa di mobilita’ integrata – hanno contribuito – quando applicata – a generare effetti devastanti sull’urbanità’ e morfologia urbana delle città’ in tutto il mondo. Mi piace pensare di poter trovare conferma di ciò’ che dico, riguardo agli effetti devastanti della razionalizzazione del traffico sulla città’, durante la lettura del sopracitato libro di Chermayeff e Tzonis . Per il relatore la macchina e’ il “grande nemico” e per agevolare questa convinzione Lerner presenta al pubblico la sua risposta al problema del traffico: la Dock Dock, l’auto più’ piccola del mondo che con le sue dimensioni umane (0.61 x 1.36 m) puo’ coprire insieme ad altre tre l’intero ingombro di un’auto standard. Ancora una volta sembra un espediente un po’ banale: non e’ tanto importante la dimensione del mezzo privato quanto piuttosto l’uso che se ne fa e come questo si integra all’interno del sistema del traffico ’ in un determinato contesto urbano.
Chiuso il capitolo mobilita’, Lerner passa a parlare degli altri quattro punti della sua visione, e lo fa presentando alcuni progetti da lui realizzati. Si tratta di interventi di vario tipo – da lui definiti di “urban acupuntures” – che pero’ oltre ad essere per funzioni e scale di intervento molto lontano da un un’urbanistica poco invasiva, si manifestano tutti per la loro natura effimera in cui le questioni della sostenibilita’ sono impercettibili se non addirittura vaghe. Più’ che far pensare ad una sorta di “panificazione omeopatica”, mi pare di intendere il metodo-lerner come una sorta sostenibilità’ del consenso e dell’intrattenimento – che spesso coincidono – anche se lui definisce il suo approccio come “multy use city” o uso continuo degli spazi. Il tema del sostenibilità’ non sembra maturo per essere affrontato di fronte ad un pubblico come quello della RIBA, mentre intelligenti sembrano i seminari da lui organizzati nelle scuole per educare i bambini alla pratica del riciclaggio. A tal proposito l’oratore dice con orgoglio che recentemente un suo cortometraggio sul tema gli ha fatto guadagnare un award ad un concorso cinematografico a New York.
La lecture e’ ora alle sue battute finali, e cosi’ il presidente fa cenno all’ospite di chiudere. Ci sono solo dieci minuti per le domande che anche in queste occasioni possono manifestarsi banali e inappropriate. Di queste si segnalano una sul conflitto di interessi tra l’essere sindaco e professionista nella stessa città’; una seconda su come affrontare il problema delle favelas e della partecipazione e infine la richiesta di spiegazioni riguardo ad una frase pronunciata precedentemente in cui l’architetto dichiarava che di fronte alla realizzazione di un progetto bisogna fare in fretta. La prima risposta dribbla con agilità’ la provocazione dichiarando, senza entrare nei dettagli, che le due cose non sono incompatibili; la seconda con altrettanta disinvoltura lo smarca dalla questione delle baraccopoli affermando che se non ci sono proposte concrete da parte dei cittadini non puo’ esserci dialogo e quindi partecipazione; mentre l’ultima spiega che il fare le cose in breve tempo permette di eliminare la burocrazia e con essa i dubbi di insicurezza di chi le promuove. In tale occasione l’oratore non ha spiegato in che modo e a che prezzo la burocrazia viene bypassata, e se siffatte dichiarazioni venivano dal cuore d’architetto o dallo staff del politico.
Cosi’ come come aveva iniziato il suo intervento, Lerner chiude la sua lecture affermando: “I sogni vanno sempre prima dei problemi” [,,,] “L’errore più’ grande e’ quello di sovradimensionare il problema”. Anche Martin Luther King aveva un sogno, espresso pubblicamente il 28 agosto 1963. Mentre allora i problemi degli autobus era ben diversi da quelli della città’ di Curitiba; oggi la questione sulle politiche della mobilita’ e’ capire se queste agiscono veramente sullo sviluppo intelligente della ambiente urbano, o sono solo espedienti preziosi – come un diamante giallo – per il consenso.
Fermta tipo del bus rapid transit di Curitiba in Brasile.