Vera fotografia, Vera architettura
© oscar ferrari_arcomai | Installations della mostra David Chipperfield – Form Matters.
Con il termine fotografia di architettura definiamo generalmente quella parte della fotografia professionale rivolta alla documentazione degli edifici ai fini della pubblicazione su libri e riviste del settore. Tra tutti i generi in cui la fotografia nei suoi 170 anni di storia si è evoluta, questo è certamente, se non per definizione ma di fatto, il più antico. Le prime fotografie, infatti limitate dalla scarsa sensibilità alla luce delle lastre sensibili, dovettero necessariamente rivolgersi a soggetti statici come il paesaggio e l’architettura appunto. Senza ripercorre le tappe salienti di questi due secoli scarsi di storia, possiamo anche affermare che il genere suddetto è, tra gli altri, il più immutato nel tempo a dispetto dell’evoluzione tecnica degli apparecchi che, dagli enormi banchi ottici in legno con le lastre in vetro è arrivata alla leggera tecnologia digitale.
Questa conservazione del linguaggio espressivo è probabilmente dovuta al fatto che la fotografia si pone prevalentemente al servizio dell’architettura cercando di certificarne il progetto a scapito delle proprie velleità di espressione autonoma. In altre parole sotto il grande ombrello della “Fotografia di Architettura” si sono trovati infinità di fotografi dallo sguardo intercambiabile, con l’occhio tutto dedicato alla documentazione analitica per non dire “asettica” dell’architettura. Così in un gioco che potremmo chiamare “il cane che si morde la coda”, infinità di esposizioni e pubblicazioni specialistiche hanno relegato la fotografia a ruolo di semplice illustrazione del progetto realizzato confidando, erroneamente, sulla capacità oggettiva che il mezzo ha di riprodurre la realtà. Per uscire dal girotondo di equivoci, si deve cominciare ad ammettere l’autonomia espressiva della fotografia, anche di fronte a soggetti statici ed inanimati come le architetture, poiché dietro la macchina c’è sempre un occhio che decide cosa e come guardare. Chi fotografa, infatti, sa bene che ogni architettura può dare luogo ad infinite fotografie perché infiniti sono i punti di vista nello spazio, le variazioni di luce, di ottica, la presenza o meno della figura umana ecc…cioè tutti quegli elementi che caratterizzano il linguaggio stesso della fotografia.
Sono perle rare però, le situazioni in cui questo linguaggio viene manifestato chiaramente e la fotografia di architettura trattata con la dignità di una vera forma espressiva. La mostra Form Matter di David Chipperfield al Design Museum di Londra è una di queste. Qui le fotografie dei progetti esposti sono stampate in modo impeccabile in un formato piccolo che le impreziosisce, e racchiuse in eleganti cornici bianche. Ogni immagine riporta nel cartellino da museo al di sotto, il nome e la data del progetto e il nome del fotografo. Questa attenzione nell’allestimento sottolinea, per queste belle fotografie, il valore di autonomi elementi espressivi, pur nel rispetto della funzione descrittiva del progetto cui ognuna assolve perfettamente. Le fotografie in mostra potrebbero anche essere fruite come opere a se stanti svincolate cioè dalla loro funzione documentaristica dell’architettura; potremmo anche dire che le fotografie ci parlano di se stesse oltre che degli edifici mostrati.
A sottolineare il valore artistico ed espressivo della fotografia concepito da Chipperfield, sono presenti in mostra una decina di immagini della grande artista tedesca Candida Hofer (già allieva alla grande scuola di Dusseldorf) realizzate nel cantiere del Neues Museum di Berlino, progetto a cui l;a mostra da’ ampio spazio. La Hofer è nota soprattutto per le sue grandi fotografie di interni, tra i lavori principali si ricordano in particolare le biblioteche, molto spesso vuote. Gli spazi che lei affronta, vengono analizzati in modo estremamente nitido e quasi impersonale, svuotati dalle figure umane, alla maniera appunto della grande scuola documentaria di Dusseldorf che aveva in Bern e Hilla Becher i suoi maestri. Le sue foto, spesso riprese frontali e simmetriche, ripropongono attraverso stampe solitamente enormi la ricchezza spaziale e formale fino a cogliere nitidamente il dettaglio più piccolo, ma facendoci quasi dimenticare l’oggetto architettonico per parlarci di un suo modo di guardare. È proprio questo sguardo apparentemente neutro e documentaristico che ha caratterizzato il suo fotografare che oggi ci fa riconoscere, tra gli infiniti sguardi anonimi dell’architettura, uno sguardo artistico. Queste fotografie, pur nell’inconsueto per lei piccolo formato di circa 40 x 50 cm, ma dalle inconfondibili inquadrature nette e simmetriche, riaffermano con forza la necessità di una visione quantomeno personale se non artistica dell’architettura e impreziosiscono, se mai ce ne fosse bisogno, l’elegantissimo allestimento londinese.
© oscar ferrari_arcomai | Installations della mostra David Chipperfield – Form Matters.