Kengo Kuma: Power of the Place

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 © arcomai l Kengo Kuma: Power of the Place.

Si e’ tenuta questa mattina presso la Galleria dell’Architettura della Fiera di Bologna una lezione di Kengo Kuma dal titolo Power of the Place. L’evento si inserisce nell’ambito del ciclo di incontri “Costruire, Abitare, Pensare” che, per il terzo anno consecutivo, porta a Cersaie alcuni tra i protagonisti mondiali della ceramica e dell’architettura, della tecnologia e del design, per mettere a confronto esperienze e percorsi professionali che, quest’anno, trovano un punto di incontro proprio nella cultura architettonica giapponese e nei suoi protagonisti. Kuma si è distinto nel corso degli anni per molte realizzazioni che gli hanno valso riconoscimenti importanti come l’International Spirit of Nature Wood Architecture Award (2002), l’International Architecture Awards for the Best New Global Design (2007) e l’Energy Performance-Architecture Award (2008). Nella presentazione di quest’oggi l’architetto nipponico ha mostrato più di una ventina di progetti tra musei, padiglioni, abitazioni e costruzioni sperimentatali. In questo contributo andiamo a documentare solo alcuni tra quelli in cui e’ più evidente la sua ricerca verso un’architettura che si annulla attorno al luogo in cui viene costruita.

A presentare il lavoro del noto archetto giapponese al pubblico di Bologna se ne occupato Francesco Dal Co, architetto e professore presso lo IUAV di Venezia, che ha esordito affermando: “Chiunque voglia conoscere un pezzo di storia dell’architettura contemporanea non può ignorare ciò che i Giapponesi hanno realizzato negli ultimi anni” – e ancora – “La modernizzazione del Giappone ha origini complesse in parte oscure a noi. Tutta ha inizio con il periodo Meiji, epoca in cui il paese ha rotto con la tradizione”. Dal Co ha poi citato due letterati europei: lo scrittore tedesco Karl Levit”, che all’inizio del secolo scorso ha documentato questo particolare passaggio della storia nipponica; e, in epoca più recente, lo scrittore e giornalista Goffredo Parise (1929-1986) inviato dal Corriere della Sera in Giappone fra il settembre e l’ottobre del 1980. Gli articoli, nati da quel viaggio, apparvero sul quotidiano milanese fra il gennaio del 1981 e il febbraio del 1982, per poi essere raccolti in un libro dal titolo L’eleganza è frigida, frase questa mutuata dal poeta Saito Ryokuu, e qui usata per spiegare come ogni eccesso di forma, artificio e controllo possa soffocare la sensualità delle cose. Per legare questo concetto all’architettura contemporanea giapponese e quindi al lavoro di Kuma, il professore ha chiuso il suo intervento spiegando che all’origine di questa particolare bellezza c’è “… la continua ricostruzione  delle cose nei secoli. Il ripetere e riprodurre la conoscenza rende le cose belle perché diventano appropriate, riducendo cosi’ la quantità delle cose a favore dell’essenzialità”.

“Cos’è il potere del luogo? – ha chiesto a se’ e al pubblico Kuma appena presa la parola. Per rispondere alla domanda ha scelto di iniziare la sua presentazione parlando del progetto per il Nasu History Museum (1992) dedicato a Utagawa Hiroshige (1797-1858), artista giapponese da cui Van Gogh ne ha ereditato la capacità di dipingere non solo la natura ma anche il suo mistero. “Il museo si trova all’interno di un tipico villaggio, alle spalle c’è la montagna e sulle montagne un tempio. Poiché’ le persone hanno cominciato a dimenticare la montagna, ho cercato allora di progettare il museo come se fosse la porta alla montagna. Chiunque vada al museo si trova di fronte alla montagna e al tempio. Il materiale è carta di riso, pietra, legno, quello delle montagne intorno, perché i carpentieri pensano che il legno migliore per la costruzione sia quello degli alberi delle montagne dietro al villaggio. Tutto è realizzato dagli artigiani del villaggio stesso che ci hanno aiutato tantissimo”. “Il progetto – ha spiegato Kuma – risale agli anni ’90. Erano anni difficili a causa della crisi economica ma è stata anche una occasione unica per nuove opportunità”. Poi, mostrando con una sezione il modo in cui l’edificio taglia la montagna, fa notare con orgoglio come in questo gesto l’architettura scompaia al suo interno,  ripagandola dalla violenza arrecatale. Simile approccio lo troviamo nel Kitakami Canal Museum (Ishinomaki, 1996), il cui sito e’ stato invece recentemente martoriato dalla natura stessa, e su questo Kuma dice: “La mia città è stata distrutta dallo tsunami. Solo due settimane dopo la tragedia sono riuscito a contattare il museo, uno dei pochi edifici che si sia salvato dal disastro. Quando ho visitato il sito, era drasticamente cambiato. Il terreno si era abbassato di un metro. L’edifico era intatto ma era altra cosa”.

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©  Mitsumasa Fujitsuka l Water Glass.

Nell’introdurre il progetto della Water/Glass House (Shizuoka, 1995), Kuma racconta come il concetto originario di questa residenza sia stato ispirato da una scatola di legno per lo zucchero che suo padre gli aveva regalato, e a cui egli era molto affezionato. Questo oggetto, di cui il relatore ha mostrato una foto, era stato disegnata da Bruno Taut in Giappone, durante un periodo trascorso negli anni ’30, dove ebbe anche l’occasione di progettare una piccola residenza, la Huga Villa, che si caratterizzava dall’avere una terrazza in bambù proiettata verso l’oceano. L’effetto magico di questo senso di sospensione, insieme alla sua ricerca volta alla smaterializzazione della forma, hanno suggerito a Kuma un’architettura che aspira a scomparire, nascondersi, annullarsi: le tre scatole di  vetro diventano un tutt’uno con l’acqua facendo propri i valori del sito e suggerendo un’esperienza con una forte connotazione di pace e spiritualità. La Water/Glass e’ collegata da una passerella alla Huga Villa facendone di questa una sorta di dependance.

Il GC Prostho Museum Research Centre, edificato nella Prefettura di Aichi, nel Giappone centrale. è un museo dedicato alla storia dell’odontoiatria. L’edificio si distingue per l’eleganza e leggerezza della sua struttura, un reticolo tridimensionale quadrato che riproduce in scala architettonica il chidorio cidori, un antico giocattolo tradizionale della cultura giapponese realizzato con bastoncini di legno. Il manufatto, alto 9 metri, e’ un volume la cui materialità risulta sbriciolata dai 6000 bacchette di cipresso di cui e’ composta, elementi questi uniti tra loro da un semplice incastro secondo il system acidori. Per costruire l’edificio Kuma si è avvalso della collaborazione dell’ingegnere strutturale Jun Sato e degli abili artigiani locali, che continuano ancora oggi a costruire l’antico giocattolo con estrema precisione il meccano. Per bambini. Con la stessa tecnica Kuma ha mostrato il Yusuahra Wooden Bridge Museum.

In una lectio magistralis, tenutasi nel 2008 a Torino in occasione del Congresso Internazionale di Architettura, Kuma, parlando del museo, ha detto: “Molti miei colleghi credono che debba essere il museo il motivo di visita di un luogo, concependo i musei come fini. Per me sono mezzi: l’architettura deve essere una finestra verso qualcos’altro, sempre nel rispetto dei fenomeni naturali”. Per Kuma, infatti, l’architettura non deve mai essere vincolante ma assomigliare ad un giardino: “Perché un giardino non ha né muri né finestre, ma è fatto soltanto di superfici orizzontali”. La smaterializzazione della sua architettura e’ ottenuta attraverso l’allentamento e l’alterazione dei confini che dividono il costruito dall’ambiente circostante. Per ottenere questo, abolisce sia la sostanza del muro che quella della finestra, sostituendoli con qualcosa di ibrido, non solido e apparentemente fragile a vantaggio di uno spazio immateriale capace di combinare insieme natura e artificio. Per secoli nella casa giapponese la demarcazione tra l’interno e l’esterno e’ state delineata con “soglie” deboli e leggere come le pareti di carta di riso. Nella cultura occidentale queste delimitazioni sono, invece, sempre state ottenute da “soglie” forti e pesanti come muri in pietra o di mattoni. Quali di questi due “mezzi” e’ il più forte dell’altro?

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© Daici Ano l GC Prostho Museum Research Center.


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