Le scatole di Kazuyo Seijma
© arcomai l Kazuyo Sejima
L’architetto giapponese, fresca vincitrice lo scorso anno del prestigioso Pritzker Architecture Price e della Direzione della Biennale di Architettura di Venenzia nel 2010, ha tenuto a Bologna una Lectio Magistralis al Cersaie, il 23 settembre presso l’Europauditorium, raccontando la parabola della sua esperienza progettuale, introdotta da Fulvio Irace. La sua è indubbiamente un’architettura poetica che ha dentro l’essenza di una cultura del tutto meditativa ed introspettiva. Stupisce la sua dichiarata ricerca del contatto fisico, corporale, che cerca di attivare nelle sue realizzazioni, proclamando una ricerca tesa a modificare i comportamenti umani attraverso la manipolazione dello spazio, affermando una supremazia del valore posizionale degli spazi sull’impatto formale.
Nell’opera che ha contribuito ad affermarla su scala mondiale, il Museo d’Arte Contemporanea del XXI secolo, a Kanazawa in Giappone, ha lavorato sulla trama urbana facendone un edificio, i volumi scatolari, isolati e distanziati, solo apparentemente conducono ad una frammentazione dei luoghi, ottenendo una fusione degli spazi tramite il bianco assoluto della luce che dissolve la materia in uno spazio subacqueo. L’arte esposta diventa protagonista ed occasione di un continuo mutamento, come il riflesso sul vetro curvo che per tutto il perimetro raduna e chiude la composizione interna.
Nel Nuovo Museo d’Arte Contemporanea a New York, gli stessi volumi scatolari, di dimensioni simili ai piccoli edifici circostanti, si accatastano verticalmente, rimanendo quasi privi di finestre, delegando allo scarto tra i diversi parallelepipedi sfalsati il ruolo di presa di luce, con asole e fessure, ma anche con affacci che diventano uno spazio pubblico sospeso in aria. Lo stesso concetto tettonico di verticalità sta per essere riprodotto anche in una piccola casa a Tokyo, in 5 piani schiacciatissimi in cui un unico foro centrale è in grado di invertire il valore spaziale dell’insieme.
© Dean Kaufman l New Museum of Contemporary Art.
Con il Museo del Vetro a Toledo, negli USA, si ha la formidabile occasione per esercitare una estrema dissoluzione dell’impianto scatolare delle stanze espositive con solo vetrate serpeggianti: così facendo, gli spazi risultano delimitati dal solo riflesso ambientale, dalle stratificazioni di questi, in una con-fusione di alterazioni di immagini, tra realtà ed illusione continua, in una liquefazione spaziale impareggiabile.
Nella Galleria temporanea Serpentine londinese del 2009 lo spazio costruito è aperto, per cui le pareti di delimitazioni sono omesse e la sinuosa pensilina nel parco cerca di dissolversi tra cielo e prato giocando con le riflessioni della sua lucente specchiatura. Con un passaggio di scala più geografico, lo stesso concetto spaziale viene riprodotto in un Centro Ricreativo nella campagna newyorkese. Con un lungo e continuo edificio fluido e liquefatto, tanto da diventare una sorta di fiume che solca il paesaggio.
Nel Rolex Learning Center, nel Politecnico di Losanna e da poco terminato, il grande edificio di un solo piano, racchiuso solo tra due fredde lastre di calcestruzzo lisciato, ondeggia ripetutamente come un tappeto, creando una geografia artificiale, fatte di colline, vallate, declivi. La visione diventa in tal modo di continuo frazionata in uno spazio interno che rimane comunque unico, nel suo isotropo spessore urbano di vita, lasciandosi attraversare in tutte le direzioni.
In un’isola giapponese, Inujima, sta intentando un esperimento spaziale che tenta di inglobare un intero villaggio di contadini e pescatori all’interno di un museo diffuso, inserendo o trasformando dei piccoli edifici scatolari, come degli intrusi nella vita quotidiana degli isolani, dove è la normalità ad occupare la scena, in modo quasi inconsapevole.
Infine, con la creazione in corso del Museo del Louvre a Lens, in Francia, l’autrice ritorna agli impianti scatolari articolati, ponendo i singoli volumi con contatto tangente tra di loro ed assegnandoli un lievissima curvatura sul perimetro dei parallelepipedi, una micro deformazione della superficie esterna di alluminio specchiante che ingloba la natura circostante inglobandola. In questa ricerca emerge chiaro il tentativo di creare spazi senza architettura, ossia di catturare una parte dei luoghi cercando di fare almeno della fisicità della costruzione architettonica. Non esiste in questa pratica un punto di osservazione privilegiato, l’edificio nel paesaggio, urbano o naturale che sia, o un traguardo visivo dall’interno verso l’esterno, perché viene meno proprio il concetto di edificio. Della scatola architettonica rimane solo l’impronta, la sua latenza, un riflesso, e tante persone catturate dalla sua pregnanza: in fondo l’architettura dovrebbe servire solo a fare incontrare le persone e costruire una civiltà.
© SANAA l Rolex Learning Center, EPFL (Ecole Polytechnique Federale de Lausanne).