In “Common Ground” l’architettura parla inglese
© arcomai I Ingresso del Palazzo delle Esposizioni.
E’ sempre un compito difficile per chi – come noi – segue da anni la Biennale d’Architettura, giunta quest’anno alla sua 13a. edizione, e decide di documentarla. C’è sempre il rischio di dire cose banali, di riportare considerazioni a volte appiattite su posizioni troppo polemiche, di provare a dare un giudizio sintetico ad un evento che annovera un diorama di progetti provenienti da tutto il mondo sparsi per la città in decine di sedi. La sintesi di questo stato d’animo si può sintetizzare nella tanto temuta domanda che si sovrappone ai saluti degli amici che incontri alla vernice: “Ti è piaciuta la biennale?” Come un tormentone di mezza estate, questo quesito ti costringe a dare un giudizio a bruciapelo – possibilmente serio ed originale – quando ancora non sei riuscito a visionare tutto il materiale esposto. Non e’ facile fare questo, poiché hai bisogno di capire il tema, di comprendere i contenuti e coglierne i dettagli senza farti prendere dall’istinto di elaborare un’intuizione illuminante che possa riassume in due minuti un appuntamento “biennale”. Eppure troppo spesso ci ritroviamo a registrare semplicemente lo stato dei lavori in corso filtrati dal gusto e dal punto di vista del suo curatore, cercando di rintracciare in ogni angolo della mostra tracce del tema, di mettere insieme frammenti per poi accorgerti che non hanno nessuna relazione con la traccia originaria voluta del suo direttore.
© arcomai I L’installazione di Norma Foster.
Eppure la Biennale ha bisogno di opinioni, commenti e critiche, sia da parte dei grandi media e redazioni del settore che dal semplice visitatore passando attraverso di chi – come noi – sente il bisogno di dare il proprio modesto contributo, consapevole che questa mostra e’ anche una occasione per fare il punto sullo stato dell’arte sull’architettura. Noi di Arcomai siamo abituati a vedere le cose con occhio trasversale, pertanto in questo documento non andremo a riportare la cronaca del “brutto & bello”, ma cercheremo di capire il senso di questo evento, provando di comprendere come la Biennale incida ancora sulla cultura architettonica di quest’epoca senza contribuire a alimentare ulteriore incertezza.
© arcomai I Attimi prima dell’Inaugurazione del Padiglione Argentino. L’ambasciatore attende di connetersi telefonicamente con il Presidente dell’Argentina.
La Biennale di Architettura di Venezia 2012 si e’ aperta il 29 agosto e si chiuderà i battenti il 25 novembre 2012. Il tema di quest’anno, scelto dal direttore artistico David Chipperfield, è Common Ground, che più generalmente può essere tradotto in “interesse comune”. Al centro del dibattito, il noto architetto inglese ha voluto porre i concetti di collaborazione, dialogo, relazione e condivisione come elementi fondamentali di una “fare progetto” che sia condivisa – e non è solo il frutto di gesti eclettici/eclatanti di singole “archi-pop” – in grado di contribuire al dialogo tra punti di vista differenti, come auspicato dalla partecipazione dei protagonisti della Mostra, oltre cento progettisti provenienti da 53 paesi.
© arcomai I Toio Ito apre ufficialmente il Padiglione del Giappone.
Chipperfield, stimato architetto di livello internazionale e’ noto per il rigore del suo “fare architettura”, fa parte di quell’influente network di amici e colleghi “britannici” dal quale provengono anche i curatori di altre due biennali recenti, quella del 2002 di Dejan Sudjc (direttore del Design Museum di Londra) e quella del 2006 di Richard Burdett (studioso di fenomeni urbani). Quando fu resa nota la sua nomina alla direzione di questa edizione, a qualcuno e’ saltato agli occhi la strana coincidenza della stessa provenienza geografica dei suoi predecessori. Per noi e’ solo la conferma del bisogno da parte della presidenza della Biennale di affidarsi a professionisti dell’architettura con forti connessioni nel mondo della comunicazione. Infatti, in questo momento di conclamata debolezza della ricerca architettonica, la soluzione può essere rivolgersi direttamente ai progettisti e richiamarli alla loro responsabilità nei confronti della società (People Meet in Architecture) cosi’ come verso tutti gli attori dei processi costruttivi (Common Ground).
© arcomai I Il padiglione della Finlandia
Nell’epoca della comunicazione non trascuriamo il fattore linguistico (in questo caso la lingua inglese) in grado di far parlare e di portare quindi pubblico. Inoltre, il fatto che Chipperfield, come la curatrice del 2010 Kazuyo Sejima, sia un architetto affermato e praticante – ma con poca o nessuna esperienza nel campo delle mostre – rende il tutto più “challenging” perché aperto a possibili errori ma anche un paradigma espositivo fuori dagli schemi. I nostri auguri a Chipperfield e il suo staff per il successo della rassegna.
© arcomai I Padiglione della Scandinavia
Nel mentre possiamo affermare che la tendenza dell’attuale presidenza della Biennale sia quella di ospitare il numero più possibile di paesi per rendere più mondiale un evento che non lo sarà mai. Le cinque new entries di quest’anno (Angola, Repubblica del Kosovo, Perù, Turchia e Kuwait), cosi’ come quelle che Paolo Baratta riuscirà ad aggiungere nelle edizioni che verranno, non potranno mai rappresentare il mondo dell’architettura alla Biennale. Perché Venezia non e’ il centro del Mondo. Perché i limiti fisici della città e quelli espositivi non lo permettono; o più semplicemente perché non ce ne e’ bisogno. In altre occasioni Arcomai ha puntato il dito su questa politica dello “aggiungi un posto a tavola” che fa della mostra di Venezia assomigliare più ad una fiera campionaria che ad una mostra. Invece di puntare sui nuovi talenti solo perché nuovi. Bisognerebbe selezionare i paesi o semplicemente ospitarli a rotazione sulla base di temi concreti in “common” a diversi “grounds” e – perché no – rivedere il timing, creare pause, discontinuità. La Biennale lo ha già vissuto all’inizio della sua leggendaria storia. Ridisegniamo i confini dell’architettura: professionalmente, culturalmente e geograficamente. Salviamo Venezia dalla Biennale.
© arcomai I Il Padiglione della Svizzera.