Quale valore dell’architettura nell’era globale?

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© arcomai l Paul Finch, ideatore e curatore del Festival, premia i vincitori del “Building of the Year”.

Si e’ chiusa ieri la sesta edizione del World Architecture Festival che per il secondo anno consecutivo e’ stato ospitato all’interno del Marina Bay Sands (MBS) di Singapore. Il tema della manifestazione di quest’anno è stato “Valore e Valori dell’architettura”, un argomento potenzialmente interessante ma al tempo stesso troppo generalista e altrettanto fragile perché in bilico tra il valore che il mercato da’ alle opere di architettura e i principi etici che l’architettura dovrebbe esprimere. Eroi di quest’anno sono stati gli Australiani che, oltre ad essere stati selezionati come finalisti in molte delle categorie in concorso, di cui il festival e’ composto, hanno portato a casa tutti e tre i premi principali con la Auckland Art Gallery del team Francis-Jones Morehen Thorp (FJMT) + Archimedia (Building of the Year), The Australian Garden (Landscape of the Year) di Taylor Cullity Lethlean + Paul Thompson e il National Maritime Museum of Cina (Future Project of the Year) di Cox Rayner Architects che si e’ anche aggiudicato (insieme a Casey and Rebekah Vallance) il premio della categoria House con la villa The House Left- Over-Space. Altri riconoscimenti sono inoltre andati a Johnson Pilton Walker Architects per il Sydney Cruise Terminal (categoria “Trasporti”) e ad Hassell per il progetto del Clemenger BBDO (categoria “Ufficio”).

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© arcomai l L’installazione della mostra.

Come per la scorsa edizione il programma adottato per la ‘tre giorni” di Singapore si e’ articolato secondo il già collaudato palinsesto di incontri/dibattiti su temi (pertinenti alla professione e al ruolo dell’architetto), di crits (presentazioni dei progetti candidati ai premi nelle diverse categorie) e di keynotes, le tanto attese lectures che quest’anno hanno avuto come protagonisti l’austriaco Dietmar Eberle dello studio Baumschlager Eberle, l’americano Charles Jencks (architetto e critico di architetura) e il giapponese Sou Fujimoto dello studio Sou Fujimoto Architects. Unica nota nuova rispetto alle edizioni precedenti e’ stato l’affiancamento al festival di INSIDE: World Festival of Interiors, un evento indipendente dedicato all’architettura degli interni che ha assegnato il World Interior of the Year al progetto Carrer Avinyo apartment  realizzato a Barcellona dallo studio londinese David Kohn Architects.

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© arcomai l Le liste dei giurati e relatori del WAF 2013.

Cornice dell’evento e’ stata ovviamente la mostra dei progetti concorrenti che ha adottato la stessa formula della passata edizione espositiva “a nicchie”, lo stesso “formato A2” dei pannelli per i progetti in gara e lo stesso luogo, la Convention Centre del MBS. L’istallazione e’ un diorama di bellezze architettoniche ordinate in modo scolastico, un banale spazio democratico in cui opere già note si dividono la gloria di essere qui insieme ad altre sconosciute come i loro autori che a loro spese hanno intrapreso un viaggio lungo e costoso e di cui non e’ sicuro se porterà loro fortuna o lascerà nei loro ricorsi solo la mera soddisfazione de “Il bello e’ partecipare”. Molti non sanno la storia del festival, altri non sono stati precedentemente selezionati in competizioni del genere cosi come parecchi non sono mai stati a Singapore. Li riconosci perché si muovono impacciati tra i corridoi e le sale della venue in cerca di qualcuno che gli parli, che li riconosca, che li inviti a bere un caffè. Grazie a questa mostra il festival diventa una grande “festa global-popolare”, un bazar di cose nuove o usate – da portare a casa in forma di idee da copiare per il prossimo progetto – che possono pero’ diventare occasioni di discussioni e confronto. Purtroppo la struttura attorno ad essa non permette questo a causa del programma e contenuti  imposti dagli organizzatori ma anche dal luogo in se’ che non sia addice allo scopo: gli architetti fanno fatica a camminare sulla floreale moquette “stile casino’” di cui l’intera pavimentazione del complesso e’ ricoperta. Si sono visti alcuni progetti interessante e si e’ cercato di capire cosa vi fosse di nuovo dietro l’esibizione/overdose di forme già sperimentate, ma tutti i progetti selezionati meriterebbero un più intelligente spazio/modo espositivo che valorizzi – per far apprezzare – il lavoro degli architetti partecipanti alla rassegna.

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© arcomai l Dietmar Eberle palra alla keynote dal titolo “The purpose of architecture”.

La parte più riuscita del festival e’ senza alcun dubbio la sezione delle crits. Durante la “tre giorni” (2-4 Ottobre) gli architetti di tutto il mondo hanno la possibilità di presentare i loro progetti – che spaziano dal residenziale al sociale passando attraverso la religione e lo shopping – secondo un format che funziona abbastanza bene anche se ricorda molto quello ancora “global-popolare” del TV-show di X Factor con giurì che, con la supponenza e sarcasmo esibita nel noto programma televisivo, provano a mettere in difficoltà i relatori con domande puntigliose e critiche velate e a volte complimenti (per la qualità dell’opera) che rendono il tutto particolarmente teatrale. Una particolarità del WAF è quella di avere commissioni composte da vincitori delle passate edizioni che noi crediamo non garantiscono necessariamente una qualità di giudizio all’altezza della loro fama: un buon architetto non equivale conseguentemente ad un giudice con capacità critiche tali da valutare il lavoro di altri colleghi. Le presentazioni durano venti minuti. Durante questo arco di tempo gli architetti hanno l’opportunità di presentare il loro lavoro senza consentirgli di scivolare su acrobatiche ragioni concettuali o “sforare” iseguendo inutili speculazioni, il tutto a vantaggio di una dialettica chiara e concisa. Benedetta Tagliabue, dello noto studio barcellonese  EMBT, incontrata all’uscita della presentazione dei due bei progetti in lizza nelle categorie “interni” e “housing” (9 Flats Low Cost renovation, Barcellona e Barajas Social Housing Block, Madrid), mi ha manifestato la sua sorpresa riguardo la minuziosità delle domande del giurì. Per un giorno anche architetti di fama internazionale tornato sui banchi di scuola.

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© arcomai l Conversazione tra Paul Finch e Peter Murrey al lecture “The value of communication”.

A proposito su come l’architettura dovrebbe essere comunicata dai suoi ideatori, Peter Murrey ha dato una lunga ma al tempo stesso ben articolata lecture intitolata “The value of communication”. L’eclettico architetto e giornalista inglese, dopo avere parlato in modo avveduto e vivace di alcuni protagonisti  della storia dell’architettura contemporanea, ha spiegato in 6 punti chiave cosa deve fare un architetto prima di intervenire ad un evento pubblico. Prima di tutto per evitare brutte figure il relatore deve chiedersi: 1.Quando tempo ho?; 2.Come e’ fatto il luogo che ospita l’evento; 3.Che tipo di attrezzature sono messe a disposizione dall’organizzazione?; 4.Chi e’ il pubblico che assiste all’evento?; 5.Quali sono le sue aspettative?; 6.Quale e’ il miglior mezzo da utilizzare per presentare il proprio lavoro. Per ognuno di questi punti Murray ha portato un esempio divertente che ha reso ridicoli alcuni nomi importanti dell’architettura come monito per noi di non fare gli stessi errori. Il Nostro ha poi spiegato come gli architetti dovrebbero strutturare le loro presentazioni indicato la sua “formula magica” [1-7-1]: “1 idea per diapositiva – massimo 7 righe di testo – massimo 7 parole per riga”.

Tornando ai contenuti del Festival si constata come i temi in programma abbiano ruotato attorno a una serie di topics stanchi e oramai datati su “etica e architettura”, argomento questo che meriterebbe un impegno più contemporaneo ed aggiornato alla luce dei cambiamenti delle società del mondo all’interno di un processo globale di trasformazioni. In particolare, la “posizione etica” emersa nelle discussioni sembra giustificare solo un rimpasto dei “valori occidentali” dal quale risulta escluso il contesto geografico-culturale (non solo asiatico) di cui il WAF dovrebbe esserne promotore.

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© arcomai l Charles Jencks alla keynote dal titolo “The values of architecture”.

Le tre keynotes in calendario hanno portato una grossa affluenza di pubblico. Della prima dal titolo “The values of architecture” non sono in grado di documentarne gli argomenti avendo lasciato la sala (Main Stage) dopo pochi minuti che il relatore ha iniziato a parlare. Infatti, stordito sin dalle prime battute dall’overdose di immagini e slogans di Charles Jencks, ho trovato la forza di defilarmi dopo il primo “iconic” pronunciato del noto storico dell’architettura per assistere ad una crit che si svolgeva in contemporanea nella sala adiacente. Chi e’ riuscito a seguilo fino alla fine, mi ha detto che la lecture ricostruiva la storia della “architettura dei valori” senza pero’ spiegarmene il significato. Ciò non mi ha lasciato sorpreso. Dietmar Eberle da buon pragmatico ha proposto un tema serio “The purpose of architecture” con il quale ha cercato di parlare della nebulosa “qualità” all’interno della professione. Secondo lui e’ importante quantificare il valore dell’architettura soprattutto in un momento di crisi finanziaria globale.

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© arcomai l Sharon Davis (Sharon Davis Design) presenta il suo progetto per la Women’s Opportunity Center in Ruanda.

Il programma WAF 2013 si e’ chiuso con l’intervento di Sou Fujimoto che con la “leggerezza” delle sue architetture (vedi la Primitive Future House, il Serpentine Pavillion 2013 e la House NA) ha involontariamente dimostrato come la ricerca architettonica dei Giapponesi sia su un livello superiore rispetto al resto del mondo. In La scena alla base della ricerca compositiva di Suo Fujimoto abbiamo approfondito i temi trattati dall’architetto nipponico. Purtroppo, a differenza dello scorso anno la premiazione di premi principali del Festival si e’ tenuta “a porte chiuse” alla cena di gala escludendo di fatto tutti coloro che – pur avendo pagato profumatamente il biglietto per assistere alla “tre giorni”. Una decisione da parte dell’organizzazione sciocca che influirà non poco sulla partecipazione della prossima edizione che si terra’ sempre a Singapore negli stesi giorni del 2014. Inoltre. la cerimonia  per lo “Student of the Year” – che e’ stato assegnato al team di studenti della Università di San Carlo,  Cebu (Filippine) col progetto ”Village in a Box” – non e’ stata inclusa nel premiazione di gala e si e’ consumata in fretta e furia in una saletta di servizio.

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© Elizabeth Felicella l La Women’s Opportunity Center dello studio Sharon Davis Design.

Tra gli oltre 300 progetti selezionati e provenienti da più di 50 paesi in mostra, si segnala il Women’s Opportunity Center che si trova ad un’ora dalla capitale ruandese, il paese più densamente popolato dell’Africa nonché una delle nazioni più lacerata dai conflitti in questa parte del mondo. Il Centro – progettato dallo studio newyorchese Sharon Davis Design in collaborazione con la Women for Women International, un’organizzazione umanitaria che aiuta le donne sopravvissute alla guerra a ricostruire le loro vite – e’ concepito come una piccola comunità/azienda agricola in cui (massimo) 300 donne imparano a ricavare dalla terra ciò che serve alla loro sussistenza, ma anche a vendere i prodotti frutto del loro lavoro. Questa iniziativa ha la potenzialità di divenire prototipo per la ricostruzione delle infrastrutture sociali e il ripristino dell’eredità africana compromessa dalle guerre. L’impianto copre un’area di due ettari ed e’ composto da una serie di padiglioni di forma circolare sistemati a grappolo in modo da creare al suo centro uno spazio comunitario che funge anche da mercato contadino. I padiglioni, concepiti secondo le tecniche costruttive della tradizione locale, sono costruiti in mattoni (450.000), a loro volta realizzati dagli attuali abitanti del centro, a formare gusci forati che permettono il raffreddamento passivo degli ambienti interni e una schermatura solare, pur mantenendo un senso di privacy. Con un sistema intelligente della raccolta delle acque piovane insieme all’adozione di servizi igienici di compostaggio utili anche per la fertilizzazione del terreno, si riesce a ridurre l’inquinamento delle falde acquifere sotterranee con evidente beneficio per la salute degli abitanti del villaggio. Questo progetto e’ una possibile risposta alla domanda/titolo di questa cronaca.

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© arcomai lRichard Francis-Jones (FJMT) intervistato subito dopo l’assegnazione del premio per il “Miglio Edificio dell’Anno”.


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