“My Block is the Cleanest”

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Fotogramma tratto dal film “12 Storeys” del regista Eric Khoo.

Siamo sotto le feste di Natale qui a Singapore. Il giorno della vigilia, Rudy, un caro collega del mio ufficio mi regala un cofanetto con una collezione di cinque films di Eric Khoo. Tra questi c’è “12 Storeys”, il capolavoro del noto regista singaporiano che gli e’ valso importanti premi cinematografici internazionali. Khoo intreccia efficacemente quattro narrazioni, vissute simultaneamente in un unico giorno, per creare un giudizio vincolante e realistico sulla vita quotidiana a Singapore. Per fare questo ambienta il suo racconto dentro uno dei migliaia di blocchi di edilizia pubblica, conosciti come HDB e realizzati dallo Housing Develpment Board (Assessorato all’Urbanistica), in cui vivono circa l’85% della popolazione della città-stato. Per l’autore della pellicola sono questi i luoghi in cui si alimenta l’apatia, la solitudine, il dolore, la sofferenza, le frustrazioni e le insoddisfazioni dei suoi abitanti, ma soprattutto il “distacco sociale”, che si mostra indifferente e cinico di fronte al rinvenimento del cadavere sull’asfalto di un uomo che si e’ appena suicidato, lanciandoli nel vuoto da un piano alto dell’edificio.

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Copertina del film “12 Storeys” del regista Eric Khoo.

Spirit. Un giovane uomo e’ il primo protagonista di questo racconto. E’ lui che dopo poche scene del film si uccide, per poi vivere una seconda esistenza vagando come “fantasma” all’interno degli appartamenti di quello stesso blocco residenziale. In quelle poche immagini della sua abitazione sembra che egli vivesse in un ambiente disordinato, pieno di oggetti, CD e fumetti. Non sappiamo esattamente perché lo abbia fatto. Sembra che non stesse bene di salute, aveva problemi di respirazione. Erano veramente problemi fisici, o la solitudine e le asfissianti pressioni del sistema gli toglievano il respiro, tanto che la morte sembra per lui essere l’unica via praticabile per liberarsi dalle rigide regole della società? Molte possono essere le risposte. Di sicuro e’ grazie al suo spirito che inconsapevolmente lo spettatore riesce ad entrare dentro le case dove si consumano le vicende umane degli altri personaggi della storia. Prima di lanciarsi dal ballatoio il giovane indossa una t-shirt bianca son su impressa la figura di AstroBoy, mitico eroe dei fumetti manga degli anni ’60.

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Fotogrammi tratti dal film “12 Storeys” del regista Eric Khoo.

San San, e’ una donna schiva e depressa. Vive sola al dodicesimo piano dell’edificio popolare. La sua e’ un’esistenza triste, monotona, sempre uguale come i rituali domestici praticati meccanicamente dentro l’appartamento in cui vive. Qui il silenzio avvolge tutto, a parte essere rotto improvvisamente dalla voce della madre defunta che (in cantonese) le rimprovera i suoi difetti. Come un “fantasma” crudele, la stridula voce dell’anziana rimbomba nella mente della figlia ricordandole quanto ella sia sporca, pigra, grassa e brutta. Questa condizione la porta a pensare al suicidio. Ed e’ proprio questo pensiero, che la ossessionava sicuramente da diverso tempo, che decide di tentate l’estremo atto buttandosi dal piano di casa sua. Per qualche ragione lei rinuncia a farlo, ma la vede un giovane uomo che l’aveva seguita e che dopo poco decide di morire allo stesso modo. Lui e’ Spirit. Incapace di vivere all’altezza delle aspettative della madre, per la maggior parte del film San San non parla mai, tranne quando scambia alcune battute con Rachel, la figlia ricca del datore di lavoro di sua madre, che lei ha invitato per bere il te’, provando ad instaurare una improbabile amicizia. Per quanto modesto sia la sua dimora, San San cerca di sistemarla per renderla dignitosa ed accogliente di fronte all’oepite. Per una volta fa qualcosa per qualcun altro.

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Fotogrammi tratti dal film “12 Storeys” del regista Eric Khoo.

Ah Gu, e’ un fornitore zuppa di tofu che vive con Lili, la moglie più giovane originaria della Cina. La donna si e’ sposata con lui credendo di andare a condurre una vita migliore rispetto a quella da cui proveniva. Il rapporto tra i due e’ oramai compromesso, lei rinfaccia al marito che di essere stata da lui truffata, avendole fatto credere di andare a vivere in una villa e non in una casa popolare uguale per altri milioni di abitanti di Singapore. I due si scambiano dialoghi forti fra di loro, che manifestano tutte le incomprensioni e frustrazioni della coppia.

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Fotogramma tratto dal film “12 Storeys” del regista Eric Khoo.

Meng e’ un giovane uomo che vive insieme alla sorella adolescente Trixie (come viene chiamata dal suo fidanzato) e Tee, un ragazzo più giovane con i due condividono un letto a castello. I genitori sono via, cosi’ il fratello maggiore si sente in dovere di fare le loro veci tentando di regolare in modo autoritario la vita dei suoi fratelli e senza rispettare le loro individualità, solo per il fatto che egli contribuisce alla loro istruzione e mantenimento. Questo episodio gioca tutto attorno alla conflittualità tra Meng e la sorella che lui critica aspramente perché non studia e frequenta cattive compagnie. Lei vorrebbe diventare la commessa di un negozio perché le piacono i vestiti. Lui non e’ d’accordo e le rinfaccia: “…Commessa di boutique? […] Non vuoi andare via da qui? [..] …vivere in un appartamento migliore di questo? […] Credi che io sia felice di condividere una stanza con te e nostro fratello? […] Oggi avrei potuto avere una macchina e vivere in un appartamento più grande magari in un condominio privato”. Meng personifica il cittadino modello: rigido, pragmatico, responsabile. Lui – sempre ossessionato dalla reputazione – incarna la conformità, il rigore, il senso del dovere e l’obbedienza alla regole imposte della società. Non e’ un caso che si vesta sempre di bianco (un simbolo di giustizia e d’integrità) come la maglietta, con la quale esordisce all’inizio del film, con su scritto la frase “Il mio blocco è il più pulito”. Per come vine presentato dal regista possiamo senza dubbio prendere lui come la metafora delle aspirazioni che il governo di Singapore ha riguardo alla società che sta plasmando.

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Fotogrammi tratti dal film “12 Storeys” del regista Eric Khoo.

Al di fuori delle storie di vita sopra sintetizzare, Khoo decide di citare, durante una conversazione tra Ah Gu e i suoi amici consumata nel hawker centre (caffetteria) sotto il blocco residenziale, un personaggio anti-eroe che, a tutti gli effetti, possiamo dire di far parte della storia recente di Singapore. Mi riferisco a Michael Peter Fay, un diciottenne americano che, nel 1994, fu protagonista di un controverso caso diplomatico che lo vide condannato alla fustigazione mediante frustate poiché si era reso colpevole di atti vandalici. Del caso si interesso’ anche l’allora Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, che chiese al Governo di Singapore un atto di clemenza nel confronti del giovane. Tale azione porto’ solo alla riduzione del numero di frustrate. Questo episodio e’ importante e pertinente per la narrativa del film poiché contestualizza le vicende umane (di cui sopra) a livello storico-temporale e al tempo stesso dice molto sulla determinatezza ed intransigenza delle ferree regole della società singaporiana.

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Fotogrammi tratti dal film “12 Storeys” del regista Eric Khoo.

Questo film e’ un giudizio contro le forze sociali che si oppongono e cercano di controllare l’esistenza del singolo. E’ la testimonianza di una realtà critica segnata dall’indebolimento del “discorso sociale” – dominante a Singapore – che non può che generare situazioni di conflitto e drammaticità. La condizione tragica, quindi, fa da padrona dentro quelle torri cosi’ anonime ed austere, alveari giganti fatti di unita’ abitative altrettanto ordinarie e rigide – perché standard. E’ dentro quelle case che la “standardizzazione del vivere” uccide ogni sogno dell’individuo. Il regista e’ duro nella sua narrazione anche se il linguaggio e’ intelligente, a volte ironico e drammatico. l dialoghi sono trattati con toni forti. Quando poi questi sono assenti, allora il senso drammatico viene amplificato.

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Fotogrammi tratti dal film “12 Storeys” del regista Eric Khoo.

Tuttavia, la redenzione sembra arrivare alla fine del film, quando San San contempla ancora una volta di uccidersi saltando dal parapetto dell’edificio. Ma il “fantasma” del giovane suicida appare e l’abbraccia, distogliendola dal farlo. Mentre nel precedente tentativo di suicidio di San San l’uomo ha rifiutato qualsiasi forma di coinvolgimento, ora cerca di fare quello che crede risolverà la desolazione dell’esistenza della donna. Forse la sua morte non e’ stata cosi’ invana? Forse vuole riscattarsi dall’aver commesso un grave errore? Una scena simbolica di un risveglio e l’alba di una nuova speranza. Avevano ragione gli amici di Ah Gu, quando attimi dopo della morte dell’uomo avevano pensato che lo spirito – se questi era stato una brava persona in vita – di un morto potesse aiutare i vivi.

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Fotogramma tratto dal film “12 Storeys” del regista Eric Khoo.

 


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