“Se il Mondo è cambiato”, allora “L’arte e’ cambiata con Lui”

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© arcomai l Anahata (2013) di Kumari Nahappan fatto con 4000kg di semi di albero di saga.

Si e’ chiusa oggi la quarta edizione della Biennale d’Arte di Singapore (SB13) dopo quattro mesi di intensa attività. L’evento, organizzato dal Museo d’Arte di Singapore e sostenuto dal Consiglio Nazionale delle Arti e dal National Heritage Board di Singapore, e’ stato ospitato all’interno di otto sedi sparse nel distretto della cultura di Bras Basah-Bugis nel cuore della città: il SAM @ 8Q, il Museo Nazionale di Singapore, il Peranakan Museum, la Singapore Management University, il Waterloo Centre, la Biblioteca Nazionale, il Fort Canning Park ed il Museo di Taman Jurong. La prima Biennale risale al 2006 e fu a suo tempo curata – col titolo la “Fede” – da Fumio Nanjo, all’epoca direttore del Mori Art Museum di Tokyo, che si avvalse della collaborazione di Joselina Cruz, ex curatore del Museo d’Arte di Singapore e del Museo Lopez a Manila, e Matteo Ngui, uno dei maggiori artisti di Singapore dell’arte contemporanea. In questa prima esperienza internazionale Singapore riusci a portare 95 artisti e collettivi provenienti da 38 paesi diversi per un totale di 195 opere d’arte. E’ interessante come l’iniziativa di allora facesse parte di un più ampio programma di eventi come il Convegno Annuale del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, a dimostrazione che qui l’arte non e’ solo cultura.

A differenze delle mostre precedenti quella di quest’anno non ha un solo direttore artistico ma ben 27 curatori provenienti dai paesi (partecipanti) del sud-est asiatico (Singapore, Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia, Cambogia, Laos, Vietnam e l’Australia), tutti provenienti da diversa esperienze personali (curatori, insegnanti, ricercatori ed artisti). Riportiamo qui i loro nomi sicuri che in futuro saranno protagonisti sulla scena artistica extra-asiatica: Tay Swee Lin, Seng Yu Jin, TAMARES Goh, Charmaine Toh, Tan Boon Hui, Khairuddin Hori, Joyce Toh, Tan Li Siu, David Chew, Naomi Wang, Michelle Ho, Fairuz Iman Ismail, Faizal Sidik, Yee I-Lann, Aminuddin TH Siregar “ucok”, Mia Maria, Claro Ramirez, Kawayan de Guia, Charlie Co, Abraham Garcia Jr., Ark Fongsmut, Angkrit Ajchariyasophon, Tran Luong, Nguyen Nhu Huy, Erin Gleeson, Misouda Heuangsoukkhoun e Aye Ko.

La mostra di questa edizione ha per titolo “Se il mondo è cambiato”. Un tema indubbiamente ambizioso poiché si chiede agli 82 artisti partecipanti di riconsiderare o ri-immaginare il mondo in cui viviamo. In questo contributo segnaliamo alcune delle opere esposte al SAM, sede museale inaugurata nel gennaio 1996 che forte di una delle più importanti collezioni di arte contemporanea della regione, si conferma punto di rifermento per l’arte in questa parte del Mondo.

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© arcomai l Telok Blangah (2013) di Ahmad Abu Bakar.

Telok Blangah (2013) di Ahmad Abu Bakar (Singapore). A prima vista, l’installazione sembra una semplice barca di legno che trasporta un migliaio di bottiglie di vetro. Poi ci si accorge che ogni flacone contiene un messaggio. E’ quello scritto dai detenuti di un penitenziario. La barca, il cui significato rimanda ad un possibile viaggio, suggerisce il senso di speranza dei detenuti nel loro sogno di reinserimento nella società e ricongiungersi cosi’ con la vita delle relazioni. Per far questo bisogna pero’ seguire un percorso che può essere molto lungo ed impervio. Infatti il cammino verso la riabilitazione è difficile, e piena di ostacoli. Ahmad lo sa bene poiché ha lavorato in stretto contatto con loro, dando ad ogni detenuto una “voce” nel silenzio della speranza. Con quest’opera l’artista prova a guidare la “ciurma” verso la terra ferma attraverso l’ignoto e l’imprevedibile. La barca è sovraffollata di bottiglie. Ciò trasmette un senso di pericolo e di incertezza: la barca si può ribaltare e il suo carico svanire nella profondità del mare. L’esito dell’operazione dipende dal comportamento di tutti i passeggeri. Se si raggiunge la riva; si e’ salvi, e non si vorrà più tornare da dove si e’ partiti.

Hope porta us qui di Nipan Oranniwesna (Thailandia). Due video installati su un muro in fondo ad una stanza mostrano il contrasto tra la ricca Singapore e una delle località più povera della Thailandia. Ma per poter vedere ciò che viene proiettato negli schermi, bisogna attraversare la stanza camminando su pavimento. E’ questo l’elemento che rende l’installazione più sofisticata di quanto appaia. Incastrati sul pavimento in legno ci sono, infatti, tanti piccoli fori (coperti da un disco trasparente di resina) in cui si trovano immagini di emigranti tailandesi che sono venute a Singapore per lavorare. L’unico modo per vedere queste fotografie è quello si di inchinarsi e accucciarsi a quattro zampe. Un atto scomodo che mette in evidenza il concetto di invisibilità, i fori non si vedono se non quando si cammina, e forza il visitatore a compiere un atto inconsciamente umile ed umiliante.

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© arcomai l Cosmology of Life (2013) di Toni Kanwa.

Cosmology of Life (2013) di Toni Kanwa (Indonesia). Queste sculture-talismano in miniatura (in legno) sono l’espressione elegante e raffinata della visione del mondo (natura, spiritualità, e micro-macro cosmo) secondo l’artista. Sparsi in modo ordinato ma non lineare o radio-centrico su un tavolo bianco, queste figure costituiscono la popolazione silenziosa e composta di un mondo incantato. Con le lenti di ingrandimento messe a disposizione, il visitatore curioso può apprezzare i ricchissimi dettagli delle miniature. Ma sono solo particolari di una dimensione più grande. Guardando questo pianeta ti senti grande ma, allo stesso tempo, se ti confronti con quello da cui provieni, hai l’effetto contrario. Il vuoto al centro del piano e’ definito dalle sculture e quindi esiste perché nessuno lo occupa. E’ l’energica immobile delle miniature che rende il centro un vuoto da una profonda forza dinamica.

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© arcomai l Payatas (2013) di Oscar Villamiel.

Payatas (2013) di Oscar Villamiel (Filippine). Anche qui la stanza e’ buia. Quando le pupille si adattano alla oscurità si vede una foresta di teste di bambola. Sono migliaia, tutte “piantate” su lunghi bastoni come fossero fiori sbocciati nella notte. I visitatori vagavano in silenzio attraverso il percorso di questa valle macabra e raccapricciante. Al centro c’è una piccola capanna fatiscente che contiene i corpi senza testa delle bambole. il Il fattore di shock iniziale si trasforma prima in disagio poi in malinconia. Le bambole erano state recuperate da una discarica di Manila chiamata Payatas, dove i bambini poveri scavano tra l’immondizia per cercare tutto ciò che può essere commestibile o riutilizzato. Se trovassero nel pattume le bambole di scarto potrebbero riportarle a nuova vita e ridare per un attimo alla bambina la felicità che lei non può permettersi. Una denuncia tra la grande povera nella capitale filippina e la contrastante ricchezza (spreco).

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© arcomai l Detritus (2012-2013) di Leslie De Chavez.

Rimanendo a Manila, Detritus (2012-2013) di Leslie De Chavez (Filippine) descrive il dramma reale e surreale della contemporaneità in un società complessa come quella della conurbazione di Manilia. E’ un girone dantesco, e’ un “urlo di denuncia” rappresentato in modo realista con la tecnica “tradizionale: dell’olio su tela, dove si riconoscono comportamenti umani “malvagi” come la corruzione, violenza, degrado ambientale, povertà ed eccesso.

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© arcomai l La pace può essere realizzata anche senza odine (2013) di TeamLab.

La pace può essere realizzata anche senza odine (2013) di TeamLab (Giappone). Si entra nella stanza buia e si è subito sopraffatti da quello che in prima istanza sembra un esercito “infinito” di soldati che ti viene incontro. Poi ci si accorge che si tratta di ballerini e musicanti e che non sono veri ma solo ologrammi, animazioni moltiplicate esponenzialmente grazie ad un sofisticato sistema di riflessi e trasparenze. Siamo dentro uno spazio interattivo, indefinito, illimitato ed inconsueto. In questa dimensione le figure, tramite dei sensori di movimento, interagiscono con lo spettatore reagendo alla sua presenza. Cosi’ ti accorgi che i corpi agiscono senza un direttore. Tutto no ha confini e ti confondi con questi esseri irreali. Una volta che si comprende questo, il senso di straniamento che ti ha pervaso dal momento del tuo ingresso nella stanza, inizia a calare. Liberata la mente da questo stato d’animo, ti chiedi se la danza in atto abbia un senso, cerchi di capire se abbia riferimenti col passato o con il presente. Poi pensi che forse non ha più importanza, portando con te l’esperienza vissuta, esci dalla stanza.

La regione del Sud-Est asiatico è stata nella storia un corridoio delle grandi civiltà, nonché un luogo di interazioni culturali complesse, una terra di conflitti ancora aperti (vedi i recenti disordini a Bangkok, le tensioni tra le due Coree, o il futuro ancora incerto della Birmania). All’interno di questa parte del Mondo, individui e popolazioni abitano sfere esistenziali e realtà sociali molto diverse: dalle comunità agrarie alle grandi metropoli urbane, dalle aree continentali agli arcipelaghi ancora inabitati, dalle spaventose calamita’ naturali alle temute crisi economiche. Sin dall’inizio di questo millennio il Sud-Est asiatico e l’Asia sono i grandi protagonisti del processo di globalizzazione in corso. Sono terre di profondi cambiamenti strettamente legati alla geografia, alle risorse naturali, alla religioni ed una vasto diorama d’Identità. Tuttavia, le esperienze di trasformazione seguono tempi e dinamiche diversa dal resto del Mondo. Chiedere agli artisti di queste “terre” di ripensare ai loro “mondi” non e’ facile.

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© arcomai l We never fell (2013) di Nguyen Tran Nam.

In queste opere da noi documentate riscontriamo i limiti dell’arte nel dare risposte certe e definitive. “Se il Mondo è cambiato”, allora noi crediamo che “L’arte e’ cambiata con Lui”. Per questo non e’ semplice provare a ripensare – da dentro – ad una dimensione nuova e migliore della presente. Detto questo, riscontriamo in questi artisti la volontà di mettere il visitatore in uno stato di incertezza, di confronto, di sospensione. Ti fanno riflettere non tanto sul Mondo ma sui micro-mondi, sugli ambiti del quotidiano, sulla sfera interiore dei sentimenti. Sta al visitatore ad approfittare dell’attimo di straniamento che ti proietta per un attimo fuori dalla dimensione del reale per poter capire essenzialmente dove si trova. L’artista contemporaneo come individuo non ha la forza di pensare al Mondo. Le avanguardie avevano gli strumenti e le capacita di farlo perché erano gruppi che vivevano lo stesso tempo, e potevano permettersi di pensare anche a come cambiarlo. Oggi il Mondo e’ cambiato e ci sono rimasti solo gli artisti.

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© arcomai l The 5 Principle No-s (2013) di ISWANTO HARTONO & RAQS MEDIA COLLECTIVE.


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