Una scheggia di meteorite e’ caduta a Tartu senza fare danni materiali ma solo di coscienza

«In architettura, la monumentalità si può definire come una qualità; una qualità spirituale che manifesta quanto vi è di eterno in una struttura. Vi è chi sostiene che noi viviamo in un’epoca di squilibrata relatività, di cui è impossibile dare interpretazioni univoche […] Ma, mi chiedo, noi abbiamo già dato un volto adeguato, dal punto di vista architettonico, a monumenti della nostra società quali scuole, edifici comunitari, centri culturali? Quali suggestioni, movimenti accadimenti sociali o politici dobbiamo attendere? Quale evento o quale filosofia devono maturare per indurci a riconoscere i tratti della nostra civilizzazione? […] La monumentalità è un enigma»

Louis Kahn, Monumentality, New York, 1944

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@TAKUJI SHIMMURA I Il nuovo Museo Nazionale Estone.

L’architetto si distingue da altri professionisti per essere un attento osservatore: egli/ella guarda, scruta, cerca, fotografa, disegna, scrive, critica, registra, discute e quindi si pone delle domande. Spesso alcune di queste contengono già delle risposte. Altre volte le stesse non si esauriscono in un primo riscontro, ma anzi – anche a distanza di tempo – richiedono ulteriori approfondimenti. Se poi certi dubbi sono elaborati da menti geniali come quella di Louis Kahn (Isola di Osel, 1901 – New York, 1974), allora anche poche parole, pronunciate più di settant’anni fa, assumono una valore profetico se non addirittura mistico. La frase sopra riportata e’ tratta da un celebre saggio che il noto architetto – naturalizzato americano di origini estoni – pronuncio’ per riflettere sulla “enigmaticità” della monumentalità.

A poche settimane dal completamento del nuovo Museo Nazionale Estone (MNE) di Tartu – noi di Arcomai cogliamo l’occasione dell’inaugurazione di questo edificio – che si terra’ il 22 settembre – per riflettere sul significato di “monumento” oggi. Conosciamo bene il progetto (intitolato Memory Field), avendolo documentato ampiamente nelle nostre pagine dieci anni fa, quando l’atelier parigino DGT Architects si aggiudico’ nel gennaio 2006 il primo premio del concorso internazionale a cui parteciparono 108 studi di progettazione.

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Il complesso sorge su di una pista di decollo, da anni dismessa, costruita durante l’epoca sovietica a 4km dalla città. E’ una galleria di vetro di 35.000 metri quadri al cui interno si trovano aree espositive, che accoglieranno una collezione permanente di più di 140.000 oggetti, una biblioteca, un grande auditorium, aule didattiche, oltre a caffetterie e ristoranti. Il tetto lievemente inclinato dell’opera – riferimento simbolico del decollo verso una nuova era – oltre a dominare il paesaggio circostante, allestisce la scena per una drammatica interpretazione dell’ambiente e della sua storia. Questo gesto “poetico”, che tanto piacque alla giuria al punto di determinare l’esito del concorso, non solo e’ ancora vivido ma sembra far emergere in modo dirompente anche quell’aspetto “monumentale” che in fase concettuale non sembrava cosi predominate. “Monumentale”, “monumento”, “monumentalità”, “monumentalismo”, sono tutti termini oggi quasi dimenticati – per non dire censurati – nella dialettica architettonica, sostituiti – per non dire cancellati – da uno solo, quello più generalista ed ambiguo di ‘iconico”.

Rileggendo ad anni di distanza le motivazioni della giuria del concorso, abbiamo ritrovato una domanda che allora noi leggemmo come una speranza: “Che contributo il nuovo edificio del Museo Nazionale Estone può dare alla società ed identità estone in un’Europa senza frontiere? Ora quei confini “sotterrati” riappaiono dalle tenebre del passato. La componente di ottimismo di quella speranza sembra aver perso la sua ragione d’essere. E allora ci sentiamo di domandarci se “edifici istituzionali” (come ad esempio i musei nazionali) possono diventare in futuro le “fondamenta” per la costruzione di nuovi “muri” tra paesi che sognavano di cancellarli. Per questo motivo, prima ancora delle caratteristiche estrinseche della struttura, possiamo affermare che il museo di Tartu e’ “monumento” poiché la sua dimensione simbolica e’ più grande di quella fisica del manufatto stesso.

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Infatti, il complesso ha un valore sovra-nazionale, andando al di la’ del bisogno meramente “locale” del piccolo paese baltico di 1.3 milioni di abitanti, entrato nell’Unione Europea nel 2004, di avere un nuovo museo nazionale. Concepito e voluto all’interno di una visione geo-politica di un’Europa che “pensava in grande”, oggi quella “idea” trans-nazionale sembra scontrarsi con i dubbi e le paure di una società (europea) impaurita ed inerme di fronte ai recenti drammatici eventi che negli ultimi anni hanno interessato il nostro continente. La crisi economica, la disoccupazione, l’astensionismo, l’embargo alla Russia e gli spettri di una nuova “guerra fredda”, l’invasione di disparati dall’est del mondo, il terrorismo, la Grexit, la Brexit,… sono tutti fattori che – causa anche l’inettitudine ed ambiguità di Bruxelles – mostrano come l’Unione sia incapacità a dare risposte appropriate sul piano diplomatico – che e’ poi quel “piano nobile” della politica che doverebbe regolare in modo “civile” le relazioni/azioni tra paesi riconosciuti/riconoscibili dentro una “civiltà” comunitaria.

Per millenni il concetto di “monumento” e’ stato associato alla maestosità/monoliticità di un’opera e all’impiego dei materiali costruttivi, che nell’antichità erano principalmente pietre e mattoni con i quali si realizzavano elementi strutturali (architravi, archi, volte, cupole,..), poi evolutesi nei secoli per accentuare la verticalità dei palazzi. Fino all’impiego del cemento armato i monumenti hanno espresso la “pesantezza” dei simboli attraverso la gestione dei carichi soggetti a “compressione”. Il MNE stravolge questi stereotipi aggiornando in “forma” contemporanea il concetto di architettura commemorativa: non mostra i muscoli dell’ingegneria, nasconde la gravosità della materia ma, soprattutto, e’ un “monolite orizzontale”, una “lastra-ponte” traslucida che come un frammento cristallino di cometa sembra essere caduto sulla terra senza fare danni. Eppure quest’opera e’ “classicamente” monumentale, e’ un esempio d’arte concettuale astratta che esprime una risposta “cosmopolita” (i partners dello studio dello studio Dorell, Ghotmeh e Tane provengono da tre paesi differenti) al concetto di “ordine” nei riguardi delle “cose” del passato per un futuro migliore, dando all’opera una connotazione neutrale ed al tempo stesso atemporale.

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Tornando a Kahn, egli era convinto che l’ordine della società derivasse anche dall’architettura, in particolare dalla sua maestosita’, dal suo porsi come incarnazione eterna dei valori fondamentali. La simmetria, la razionalità, l’imponenza delle strutture classiche lo convinsero che l’essenza dell’architettura si trovasse nella sua atemporalità, nel suo essere monumento eterno. Per lui l’opera architettonica e’ un fatto sociale e religioso. Entrando nel museo di Tartu ci si sente come schiacciati dal peso assordante della memoria, quando furori regna il silenzio.

Mentre la visione aerea rende visibile l’astrazione lineare della pista di decollo, l’esperienza di chi cammina sulla terra dà luogo a una riappropriazione materiale del paesaggio. Qui, che qualcosa sia grande o piccolo non ha niente a che vedere con la scala. La scala in architettura si riferisce alle relazioni tra le parti di una edificio e/o di edifici e quindi questo parametro non basta a spiegare la relazione del manufatto con il suo contesto. Infatti, in questo luogo non e’ l’edificio ad adattarsi alla dimensione del paesaggio con un semplice aggiustamento di proporzioni, ma il paesaggio a dettare le proprie condizioni dimensionali al museo. In un certo senso il fabbricato come “corpo solido” scompare per lasciare sul terreno il suo “significato”. Ecco che allora ci si trova di fronte ad un’opera di alta architettura che eleva la “Fabbrica della storia” ad un livello “spirituale” più alto rispetto a quello “terreno” della grandezza di un palazzo.

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Nei “Nove punti sulla monumentalità”, redatti a New York nel 1943 (e pubblicati solo nel 1956) da Sigfried Giedion (Praga, 14 aprile 1888 – Zurigo, 10 aprile 1968) assieme al progettista e urbanista José L. Sert e al pittore Fernand Léger. si legge: “I monumenti sono dei punti di riferimento che gli uomini hanno creato come simboli delle loro idee, per i loro obiettivi, e per le loro azioni. Essi sono concepiti per sopravvivere al periodo che li ha originati, e costituiscono una eredita’ per le generazioni future. Come tali, i monumenti costituiscono un legame tra passato e futuro” […] “La gente vuole che gli edifici rappresentino la loro vita sociale, cerimoniale e comunitaria. Essi vogliono che gli edifici vadano oltre il soddisfacimento meramente funzionale”. Il MNE rappresenta senza dubbio un ponte tra passato e futuro anche se pero’ il museo e’ “sospeso” temporalmente tra le aspettative di un tempo andato non ancora vissuto (architettura finita) e le aspettative di un avvenire che sembrano già sorpassate dalle dinamiche degli eventi.

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«L’architettura non esiste. Esiste l’opera di architettura», cosi’ amava ripetere Khan, convinto che l’architettura sia prima di tutto un “gesto sociale” forse più delle altre arti. In questo colui/colei che progetta un edificio si assume la responsabilità di rispondere alle esigenze dell’uomo. non solo sul piano pratico, ma anche e, soprattutto, su quello civile come espressione totale di una compagine identitaria. Il progetto dello studio parigino ha tradotto dieci anni fa una visione oltre i confini territoriali e culturali dell’Estonia. Allora gli architetti si erano posti la domanda “enigmatica” su come dovesse essere l’architettura “istituzionale” per un’opera concepita per servire e rappresentare i bisogni identitari di una giovane nazione che aveva affidato la propria ritrovata libertà ad un progetto politico non ancora collaudato. Chissà se i drammi, i successi, le delusioni e i sogni di un continente siano legati al nome che porta?: Europa era la figlia di Agenore e di Telefassa, rapita da Zeus per farla sua sposa. Il nostro sembra un destino segnato dalla mitologia, da un racconto favoloso senza fine di cui e’ difficile leggerne i molteplici significati. Ora che il “bambino” e’ nato, gli auguriamo di crescere forte e fare grandi “cose” nella vita.

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