Il futuro della città riparte dal villaggio taobao
© arcomai I “Cloud Village”, installazione esterna stampata in 3D, Archi-Union Architects.
Sono trascorsi quasi vent’anni dalla EXPO di Shanghai dall’efficace motto “better cities, better life”. In questi due decenni, durante i quali la Cina ha avviato un processo di sviluppo economico che ha trasformato profondamente il territorio – non solo urbano ma anche rurale – e quindi modi e costumi per milioni di persone, l’Occidente (per me l’Europa) ha guardato con diffidenza e silente ammirazione il processo in corso, a volte criticando a volte cercando di capire, se non addirittura adeguarsi ad esso, mentre l’economia prendeva la “strada di non ritorno”, alla quale oggi quella globale ne e’ profondamente vincolata.
Prendiamo ad esempio Alibaba Group (fondato nel 1999), il shopping center virtuale più grande del mondo da cui anche gli architetti ordinano i materiali per i loro cantieri, che ha dato vita al fenomeno del “villaggio taobao”, dal nome della sua più importante piattaforma di acquisti online del paese, inteso come “magazzino” (rurale) dal quale partano ogni giorno miglia di prodotti in giro per il mondo. Questo e’ il “paese della “e-commerce”, un modello di sviluppo che oggi sta (ri)configurando la morfologia territoriale e sociale della Cina, riportando i giovani nelle campagne nonché attraendo migranti provenienti da altre regioni.
© Li Xiangning I Layout della mostra.
Un rapporto pubblicato l’anno scorso da AliResearch, il ramo di ricerca interno di Alibaba, indica che nel paese asiatico ci sono 2.118 ”taobao villages” e 242 “taobao township”. Perché un villaggio si possa definire taobao è necessario che il 10% delle famiglie sia attivo nelle vendite online per un commercio elettronico superiore a 10 milioni di yuan; mentre comuni con tre o più villaggi simili sotto la loro giurisdizione danno vita ad un “distretto taobao”. Secondo lo stesso rapporto, il 52% dei negozianti di un villaggio hanno una eta’ media di trent’anni. La qualità di vita in questi paesi è generalmente migliorata: il tasso di criminalità è inferiore al 50% rispetto alla media del nazionale, quello dei divorzi e’ in calo cosi’ come quello dell’abbandono di bambini e anziani; mentre sono in aumento servizi come asili, parchi e cinema.
© Bu Lai En I Centro Visitatori del Monastero Buddista di Jianamani, Atelier Teamminus.
Building a Future Countryside è il titolo scelto per rappresentare la partecipazione della Cina a questa 16a edizione della Biennale d’Architettura che quest’anno ruota attorno alla parola “Freespace”, motto voluto dalle due curatrici di questa mostra (Yvonne Farrell e Shelley McNamara) per “sondare le aspirazioni, le ambizioni e la generosità dell’architettura”. Cosi’ il padiglione curato da Li Xiangning, giovane docente presso la Facoltà di Architettura e Urbanistica dell’Università Tongji, non parla di nuove megalopoli ma della rigenerazione (su vasta scala) delle aree rurali grazie alla quale costruire nuove opportunità per le comunità di quelle regioni del paese. Quindi un modo alternativo di concepire lo sviluppo, capace di innescare un contro-esodo in grado di far crescere l’economia nelle aree rurali, dove oggi più del 40% della popolazione vive, ma anche un nuovo e ritrovato rapporto tra le tradizioni locali e il moderno, tra il mondo agricolo e le new economies.
© Atelier Teamminus I Centro Visitatori del Monastero Buddista di Jianamani, pianta coperture e sezione.
Ma in mostra si vuole dimostrare anche come l’architettura contemporanea cinese sia sempre abile a rinnovarsi, coniugando l’eredità formale e le tecniche costruttive tradizionali con la tecnologia e nuovi sistemi di produzione. Per far comprendere il messaggio, il curatore ha deciso di organizzare il materiala esposto in sei sezioni tematiche (Produzione, Turismo, Comunità, Cultura, Abitazione e Futuro), ognuna curata da un architetto (Dong Yugan, Zhang Lei, Liu Yuyang, Hua Li, Rural Urban Framework e Philip F. Yuan.) – scelto da Li Xiangning per creare un’installazione site-specific. Ogni sezione presenta in media cinque progetti. In “Produzione” Chen Haoru (di Cityarc Design Office) presenta la Fattoria Biologica Comune di Taiyang. Si tratta di villaggio di 140 famiglie operante nell’allevamento di suini, interamente costruito da manodopera locale utilizzando materiali del posto. In questo progetto si tiene conto sia delle abitudini degli animali che della necessità di realizzare colture a rotazione per provvedere in modo sostenibile al loro foraggio.
In “Turismo” lo studio TeamMinu di Pechino ci portano in Tibet a precisamente nella prefettura di Yushu, scenario di un terremoto che nel 2010 ha danneggiando gravemente un’area di 35 chilometri quadrati e causando la morte di quasi 2,700 abitanti. Dopo quella tragedia le autorità locali hanno pensato ad un piano per la ricostruzione dell’area attraverso 10 progetti pilota. Il Centro Visitatori del Monastero Buddista di Jianamani e’ uno dei più importanti tra questi. Il complesso, che ospita mostre dedicate alla cultura del buddismo tibetano e fornisce informazioni ai visitatori sulla storia locale, comprende un ufficio postale, un ambulatorio, bagni pubblici e una piccola biblioteca a servizio della comunità locale. Jianamani rappresenta il più grande tumulo buddista tibetano del mondo con i suoi oltre 250 milioni di pietre. Cosi’ la roccia locale e’ il principale materiale costruttivo adottato dalle maestranza secondo tecnica costruttive locale per realizzare il Centro. Il legno, proveniente dalle rovine del terremoto, e’ invece utilizzato per il tetto e le piattaforme di osservazione.
© John Lin I Torre panoramica di Zhaotong, Studio Rural Urban Framework.
Nella sezione “Comunità”, John Lin e Joshua Bolchover (di Rural Urban Framework) hanno portato a Venezia una torre panoramica a sviluppo elicoidale realizzata con gli scarti murari di una casa abbandonata in località Zhaotong (provincia di Yunnan). La Scuola Materna del Villaggio progettata da Xinchang di Chen Yifeng e Liu Yichun (di Atelier Deshaus) e’, invece, uno dei progetti scelti per la sezione”Cultura”. Il complesso, donato dalla Open Foundation dopo il terremoto di Lushan del 2013, e’ pensato come un “villaggio” suddiviso in nove cottages raccolti intorno ad un cortile a forma di U. questo spazio interno è il centro del progetto e nucleo delle ativita comunitarie. Gli edifici sono collegati da una veranda tortuosa che si adatta alla differenza di livello del sito e lungo la quale si articolano scale e rampe che mettono in relazione spazi diversi in grado di offrire maggiori possibilità per le attività quotidiane dei bambini.
© Atelier Deshaus I La Scuola Materna del Villaggio di Xinchang.
Per l’istallazione “Abitazione” registriamo la ricostruzione del Villaggio di Yang-Liu appartenete alla minoranza etnica dei Qiang, vittima nel 2008 di un devastante terremoto. L’opera, progetta da Hsieh Ying Chun, comprende 56 case edificate in un solo anno grazie alla collaborazione della partecipazione locale ma anche per le tecniche costruttive adottate. Infatti le unita’ abitative si caratterizzano per l’utilizzo di tre materiali principali: le macerie per realizzare i muri esterni del piano terreno, il cemento (in quantità razionalizzata) per il secondo e il legno (sempre di riuso) per il terzo livello. La semplicità del programma costruttivo ha permesso la collaborazione di ogni fascia di eta’ e sesso della popolazione contribuendo a ricostruire una senso di comunità, precedente compromesso dalla calamita’ naturale di dieci anni fa.
In area “Futuro”, oltre al sopra citato fenomeno del villaggio taobao, in cui la e-commerce è stato un elemento strategico nel ripopolare aree depresse, si registrano edifici realizzati con tecnica robotica che permettono di montare e smantellare costruzioni altamente complesse, come il tetto in bambù progettato da Philip F. Yuan (Archi-Union Architects) per un centro culturale e multifunzionale nella provincia del Sichuan. In Bamboo, questo il nome del complesso, e’ un edificio progettato e costruito nel 2017 nella cittadina di Daoming, nota per la sua lunga tradizione di intreccio del bambù. Il progetto coniuga nuove tecnologie costruttive con le capacità artigianali locali, integrando tecniche edilizie tradizionali con la prefabbricazione industriale. F. Yuan e’ anche l’autore dell’installazione Cloud Village, un grande tetto in plastica riciclata installato all’esterno del padiglione il cui disegno è ispirato a quello dell’ingresso di un villaggio cinese tradizionale. L’opera, realizzata con stampante 3D in ventun giorni, e’ composta da 35 elementi assemblabili in soli due giorni da quattro operai.
© Bian Lin I In Bamboo, Philip F. Yuan.
Ho sempre creduto che il rinnovato successo della partecipazione della Cina al Biennale d’Architettura sia dovuto in parte anche alla sua posizione all’interno del parco espositivo. Il Magazzino delle Cisterne (in fondo all’Arsenale) cosi’ lontano, defilato e in qualche modo indipendente – se non addirittura misterioso – sembra facilitare il lavoro del curatore (cinese) di turno nel proporre tematiche ed esporre realizzazioni nuove e spesso controcorrenti rispetto alla vulgata del “global village”, in cui anche la nostra disciplina sembra vincolata.