Michenzani, l’altra parte della “città di pietra” dove il cemento e’ metabolico
© arcomai I Vista dei “Treni” di Michenzani.
In kiswahili, la lingua parlata lungo la costa swahili, Ng’ambo significa “l’altro lato”, un’accezione popolare che si riferisce alla ”altra parte di un luogo”. Questo termine e’ anche il nome dato alla “altra faccia” della città di Stone Twon (“Città di pietra”), oggi Zanzibar City nell’omonima isola della Tanzania. Storicamente le due entità urbane erano divise da un torrente ora coperto dall’asse stradale di Creek Road. Ng’ambo e Stone Town hanno per due secoli (dall’inizio del XIX secolo) vissuto una storia comune condividendo tutti quegli aspetti socio-culturali connessi allo sviluppo urbano tipico di ogni insediamento. Tuttavia, tale intrinseco legame tra loro è stato reciso da imposizioni straniere, portando ad una divisione dell’abitato. Infatti, Ng’ambo dalla seconda meta’ dell’800 era il luogo dove, secondo le logiche di pianificazione coloniale del tempo, dovevano vivere le popolazioni africane e swahili più povere; mentre agli arabi, indiani ed europei più benestanti era concesso di abitare a Stone Town. In larga misura questa divisione socio-economica della popolazione esiste ancora adesso. Ng’ambo smise di rappresentare lo “opposto” per divenne addirittura il “nucleo” di una nuova urbanità quando all’inizio degli anni 70′ fu creato Michenzani, un nuovo quartiere per una giovane società africana d’ispirazione socialista
© arcomai I Vista dei “Treni” di Michenzani.
La (ri)fondazione della “città negata” passo’ attraverso un piano di rinnovamento urbano voluto dal governo rivoluzionario di Zanzibar che’, avvicendandosi al potere dopo la deposizione dell’amministrazione post-coloniale rovesciata nel gennaio 1964, pose come priorità del suo programma la realizzazione di un ambizioso piano di edilizia residenziale pubblica. Furono cosi’ avviate consultazioni con la Repubblica Democratica Tedesca (DDR) al fine di rafforzare le relazioni bilaterali tra i due paesi finalizzati ad ottenere contributi sostanziali alla modernizzazione e al progresso economico dell’isola. La Germania comunista divenne così il più importante partner di cooperazione di Zanzibar tra il 1964 e il 1969. Negli anni successivi fu’ messo a punto una piano d’intervento che non trovo’ pero’ pieno sviluppo. Infatti, il piano abitativo, avviato dal Consiglio Rivoluzionario, soddisfo’ solo in parte le aspirazioni del regime rivoluzionario.
Il “Piano Urbanistico” di Zanzibar originario prevedeva circa 7000 appartamenti all’interno di 229 edifici da cinque a quindici piani, per una popolazione di 30.000 abitanti. Ma alla fine il regime sotto il presidente Abeid Amani Karume (1905–1972) opto’ per la realizzazione di una serie di case in linea di 300m di lunghezza. I blocchi noti come i “Treni” di Michenzani contavano circa un migliaio di appartamenti completati, un numero indubbiamente importante ma ben lontano dalle ambizione aspettative dell’intervento inizialmente previsto. Il programma fu inizialmente sviluppato da un team di architetti guidati da Hubert Scholz e comprendeva dieci blocchi noti come “Plattenbauten” (costruiti con grandi lastre di cemento prefabbricato) di altezza compresa dai quattro ai sette piani.
© arcomai I Vista dei “Treni” di Michenzani.
L’architettura delle abitazioni rifletteva gli ideali spaziali del pensiero socialista di quegl’anni in merito all’edilizia popolare incentrati sulla standardizzazione, razionalità, ordine e controllo dello spazio abitativo secondo quel principio di Existenzminimum Housing (ossia l’Abitazione per il livello minimo di esistenza), teorizzato durante il Secondo CIAM (Congresso Internazionale Architettura Moderna) del 1929 a Francoforte. La pianificazione esprimeva una visione estremamente funzionalista senza nascondere velleità monumentaliste veicolate principalmente dai modelli sovietici, qui espresse dalla monoliticità dei blocchi e dai due assi viari di 15m di larghezza su cui si affacciano i “Treni”. L’intersezione dei due viali (orientati nord-sud ed ovest-est) manifestava la volontà di creare una centralità simbolica intesa sia come “porta d’ingresso” (originariamente pensata per ospitare una fontana), sia come “punto focale” per un nuovo baricentro urbano; un gesto architettonico volto a celebrare la nascita di una nuova urbanità.
Un senso d’ordine che non ha fatto i conti con la natura dell’uomo. Infatti, non solo quei modelli edilizi da li’ a poco subiranno un processo di trasformazione metabolica da parte dei suoi abitanti, ma dietro a quella “croce di cemento” si sarebbe formata pesto un’altra Ng’ambo fatta di “insediamenti informali”, tipici delle baraccopoli moderne. Se il colonialismo era stato sconfitto dalla suo “dopo” rivoluzionario – grazie alla struttura statica modernista importata dall’Europa socialista – questo a sua volta e’ stato superato da una “altra modernità”, disordinata, dinamica ma africana; una “terza via” espressa da una “architettura vissuta” espressione delle intrinseche esigenze dell’uomo..
Il Piano Generale della Città di Zanzibar del 1923 ad opera di Lanchester (fonte African Architecture Matters).
Sebbene il paesaggio della città di Ng’ambo sia stato riscritto introducendo il sistema di blocchi prefabbricati, il processo che questi edifici hanno subito da allora sta riscrivendo costantemente la storia di quei palazzi. Infatti, nonostante i condomini fossero l’orgoglio della Zanzibar rivoluzionaria, dopo la loro edificazione non è stato fatto praticamente alcun miglioramento degli impianti e tanto meno manutenzione da parte degli organi governativi locali; quindi gli edifici sono ora in uno stato di degrado. Per esempio, nonostante fossero stati pensati come multi-piano non furono mai installati ascensori e quindi tutta la circolazione verticale avveniva e avviene tuttora solo attraverso le scale. Inoltre la mancanza di pressione dell’acqua ha reso i servizi idrici non disponibili dal secondo piano in su. Di conseguenza, molti residenti hanno installato esternamente le proprie pompe dell’acqua, che non sono certo in linea con lo stile originale degli edifici. A parte la carenza di servizi ed il mantenimento degli edifici la natura dell’uomo ha fatto di questi complessi un’altra “casa”. Lo stile di vita delle persone e’ stato cosi’ forte da trasformare le strutture di cemento.
© Mieke Woestenburg I Vista aerea dei “Treni” di Michenzani.
Nel corso degli anni il piano terra dei blocchi hanno subito profonde trasformazioni. Alcune unita’ abitative hanno iniziato ad accogliere piccoli esercizi commerciali contemporaneamente all’occupazione degli spazi di pertinenza da parte di chioschi-negozi. In questo stesso livello si sono trasferiti residenti anziani provenienti dai piani superiori che ne frattempo hanno iniziato ad ospitare attività illegali come prostituzione e spaccio di stupefacenti con conseguente utilizzo in facciata di protezioni come cancelli e sbarre in ferro per la prevenzione della criminalità. Le scale e i ballatoi sono diventati luoghi di incontro e socializzazione ma anche spazi di transito di persone non residenti. All’interno di molti appartamenti sono state aggiunte, spostate e rimosse pareti per agevolare la vita di nuclei familiari che posso arrivare fino a 13 componenti. Chi ha pensato di impiantare dall’Europa Socialista un modello di abitazione pre-costituita/costruita non ha fatto i conti con l’identità, la cultura e la struttura delle famiglie swahili che tra l’altro qui sono principalmente mussulmane e quindi allargate.
© arcomai I Vista dei “Treni” di Michenzani.
L’adattamento dello spazio abitativo ha inesorabilmente contribuito alla trasformazione quotidiana del tessuto urbano. La volontà da parte degli abitanti di riappropriarsi del loro habitat ha contribuito a far riscrivere la storia di Michenzani. La dualità evidente tra l’urbanistica coloniale e quella dall’immediato post-colonialismo è stata qui azzerata da una “ architettura delle necessita’ ” che oggi ci porta a riflettere sugli obiettivi, le realizzazioni, le carenze e l’ideologia del progetto originario. Questa “urbanistica vissuta” mette a confronto la rigidità ed uniformità dei modelli delle “moderne” tipologie edilizie con la flessibilità e diversità delle esperienze abitative degli individui, dove l’interrelazione tra le persone e lo spazio ha dato risposate pratiche a problematiche del vivere, ignorate per lunghi periodi da parte degli enti pubblici, comportando quindi un continuo cambiamento d’uso del luogo.
Dal 2002 Stone Town e’ Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Sebbene le finalità dell’organizzazione dell’ONU non riconoscano le peculiarità culturali e architettoniche di Michenzani, si evince come la parte storica di Zanzibar venga considerata un’entità unica, separabile, una sorta di enclave da proteggere negando in questo modo l’appartenga della stessa ad una dimensione sociale e territoriale più ampia di quella definita tra il mare e la Creek Road. Il Piano del 1968 voluto da Karume mostra paradossalmente come nei rivoluzionari vi fosse l’intenzione di ritrovare quell’unita’ urbana necessaria a costruire una società più giusta attraverso anche una (ri)fondazione ottenuta – se necessario- radendo al suolo Stone Town. Se la cultura coloniale ha sempre discriminato Ng’ambo, l’Idealismo socialista d’importazione non si e’ comportato diversamente con Michenzani. Più che un dualismo urbano tra le due cittadelle ci troviamo di fronte ad un ossimoro ideologico, un malinteso d’intenti risolto dalla “architettura del vivere”. Il fatto poi che lo skyline di Stone Town faccia assomigliare la città ad una grande baraccopoli sembra la rivincita di Ng’ambo sull’ipocrisia della pianificazione.
Plastico del Piano Generale della Città di Zanzibar del 1968 ad opera di Hubert Scholz (fonte African Architecture Matters).
NOTA
La ricostruzione storica dell’evoluzione urbanistica della città di Zanzibar si e’ basata su uno studio dal titolo Ng’ambo Atlas: Historic Urban Landscape of Zanzibar Town’s ‘Other Side’ ad opera dell’organizzazione di consulenza no-profit African Architecture Matters con sede ad Amsterdam (Olanda) insieme al Dipartimento di Pianificazione Urbana e Rurale di Zanzibar (Tanzania).