Sotto la maschera di Dali’ si nascone il “soft power” della “altra faccia del potere”

Un personaggio può sempre domandare ad un uomo chi e’. Perché un personaggio ha veramente una vita sua, segnata da caratteri suoi, per cui e’ sempre qualcuno. Mentre un uomo (…) un uomo cosi’ in genere, può non essere nessuno. 

(L. Piandello, prefazione a Sei personaggi in cerca d’autore)

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La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico.“ 

(Mario de Micheli, Scritti di Picasso – Feltrinelli 1964)

© Netflix I Fotogrammi tratti dalla serie televisiva La casa di Carta.

Il 1907 è l’anno in cui Pablo Picasso dipinge Les Demoiselles d’Avignon, un’opera rivoluzionaria che segna una svolta decisiva nella storia dell’arte, anticipando il Cubismo. Le figure femminili raffigurate, con i loro volti mascherati e i corpi frammentati, sono un’esplosione di sperimentazione che sconvolge i canoni estetici dell’epoca. Mentre Picasso stava dando forma a questa sua opera, a Parigi si stava consumando il ‘colpo del secolo”: il furto della Gioconda dal Louvre. Un evento che scosse il mondo dell’arte e che, in modo inaspettato, si intreccia con la vita di Picasso. Durante le indagini, il celebre pittore spagnolo viene coinvolto insieme al poeta Guillaume Apollinaire. Entrambi vengono interrogati e accusati, ma in seguito prosciolti. L’imputazione nei confronti di Picasso nasce da una falsa testimonianza e da una denuncia di Apollinaire, che in realtà aveva prestato alcune statuette iberiche antiche al pittore per ispirarlo nella realizzazione delle Demoiselles.

I retroscena di questa vicenda potrebbe essere un episodio a margine della fortunata serie televisiva spagnola, La casa di Papel (La casa di Carta) conosciuta anche come Money Heist a livello internazionale – che racconta la storia di un gruppo di criminali esperti, guidati dal misterioso Professore, ideatore di un elaborato piano per realizzare la più grande rapina della storia: svaligiare la Zecca di Stato spagnola. Il sceneggiato, trasmesso inizialmente dall’emittente spagnola Antena 3 ed in seguito distribuita su Netflix dal 2017 per un totale di cinque stagioni, e’ stato Ideato da Álex Pina (produttore televisivo, sceneggiatore, regista e scrittore) e diretto da Jesùs Colmenar. La soap opera più amata dagli europei ha conquistato il cuore di milioni di spettatori in tutto il mondo divenendo un vero e proprio fenomeno culturale, grazie alla sua trama avvincente, alle sequenze adrenaliniche e ai personaggi carismatici della banda, ognuno portatore di un nome in codice ispirato a città, che durante le fasi salienti degli episodi indossavano una maschera rappresentante il viso di Salvador Dalí. Dietro quella maschera si nasconde lato oscuro della nostra società, che qui andiamo a svelare. Per fare questo, ripercorriamo il percorso attraverso il quale il cinema ha indossato la maschera per raccontare sogni e paure della contemporaneità, provando a sviluppare alcune riflessioni.

© Warner Bros. Pictures I Fotogrammi tratti dal film Joker.

Mr. Robot, la celebre e premiatissima serie TV sul mondo degli hacker e del dark web e’ andata in onda dal 2015 al 2019 (su Netflix e Amazon Prime Video) per un totale di 45 episodi spalmati in 4 stagioni. Sfiorando i 4 milioni di telespettatori a puntata, ha ottenuto un record per una serie in onda su un canale satellitare, registrando un indice di gradimento pari al 96%. Ambientata in una New York triste e decadente, la rassegna racconta il malessere di una società che, sobillata dal potere dei soldi, del web e dei consumi, rincorre lo spirito del progresso solo per saziare i propri desideri più nascosti. La storia e’ quella di Elliot Anderson (Rami Malek), un hacker solitario e sociopatico che forma una società segreta insurrezionalista dal nome Fsociety (acronimo di Fuck Society) e capitanata per l’appunto da Mr. Robot. L’obiettivo del suo leader e’ quello di abbattere una malvagia corporazione – chiamata non a caso Ecorp (“Evil Corp”). Per fare ciò, il protagonista scatena una guerra telematica dove solo il più forte potrà ambire a essere l’artefice di un nuovo ordine sociale e politico. E’ un canto di rivolta, è un inno alla rivoluzione.

Le maschere indossate dai sostenitori della FSociety, anche se non sono identiche, rappresentano un omaggio sia a The Careful Massacre of the Bourgeoisie (1984), un film horror di cui Elliot e Darlene (sua sorella) erano ossessionati da bambini, che a “V per Vendetta” (2005), pellicola diretta da James McTeigue e scritta da Alan Moore nel triennio ’83-’85 in piena era anti-thatcheriana. La trama, ambientata in una Londra distopica, parla di un giustiziere misterioso che vuole fomentare una rivolta contro il potere di un governo totalitario, oppressivo e dispotico. V, l’enigmatico personaggio mascherato, il cui forte senso di libertà si fonde con uno spiccato spirito anarchico, attraverso le sue attività sovversive riesce a trovare il sostegno del popolo che nel finale del lungometraggio marcia compatto indossando la maschera del suo eroe.

Fotogrammi tratti dal film The Careful Massacre of the Bourgeoisie.

A quindici anni di distanza dalla sua uscita, questa pellicola svela un’incredibile preveggenza. In “V per Vendetta” si parlava di un’epidemia enfatizzata ad arte per imporre un regime totalitario attraverso politiche di terrore e controllo subite da una popolazione che aveva in gran parte accettato le limitazioni alla libertà. Nel film, questa pandemia aveva causato 80.000 morti, circa il numero di vittime del corona virus raggiunte nel 2020 nel Regno Unito. Quello stesso sentimento di oppressione si è manifestato nella realtà attraverso manifestazioni di disubbidienza sociale verso le politiche governative in misura anti-covid, che hanno riempito per diversi mesi le piazze di molte capitali europee.

Nella realtà, la maschere di V – mutuata sulle fattezze di Guy Fawkes, cattolico e membro più noto della “Congiura delle polveri” contro il Re d’Inghilterra Giacomo I°, che tentò di far esplodere la Camera dei Lord a Londra il 5 novembre 1605 – e’ stata disegnata dall’illustratore David Lloyd nel 1982 con una rappresentazione stilizzata di un volto bianco, un sorriso beffardo, le guance rosse, i baffi all’insù (alla Dalí) e un sottile pizzo. Successivamente, la maschera è diventata il simbolo dell’organizzazione Anonymous (un gruppo hackers di aggregazione nato nel 2003 su internet con l’obiettivo di lottare in nome della libertà di espressione e per la libertà di internet), per poi diffondersi ed essere adottata nelle manifestazioni di proteste contro l’autoritarismo, l’anticapitalismo, le multinazionali, le politiche di alcuni governi ed i sistemi di controllo sui media, divenendo simbolo globale di rivolta contro il potere costituito. Ma è nel 2011 che la troviamo in eventi reali durante le proteste di Occupy Wall Street (2011) e degli Indignados spagnoli, nelle Primavere arabe per poi arrivare nel 2012 col movimento contro l’Acta (Anti Counterfeiting Trade Agreement), l’accordo commerciale anticontraffazione volto a dettare norme più efficaci per contrastare la contraffazione e la pirateria informatica, al fine di tutelare la protezione dei diritti d’autore nel mondo. A parte altre manifestazioni di dissenso di vario tipo come simbolo di sovvertimento del sistema in questa ultima decade, registriamo la presenza di questa maschera anche in questi mesi durante le manifestazioni di protesta da parte del variegato popolo dell’era-covid in Europa.

© Lana & Lilly Wachowski I Fotogrammi tratti dal film V per Vendetta.

Dalla maschera di V a quella di Joker di Todd Phillips (2019) il passo e’ beve. Sebbene quest’ultimo episodio faccia parte della famiglia dell’universo DC Comics, lo storico personaggio cinematografico si pone ora in una posizione di non ritorno; perché qui perde definitivamente la sua natura di fumetto per diventare uomo e simbolo globalizzato di una grossa parte della società occidentale. Il protagonista (Arthur Fleck) è infatti non solo un individuo frustrato che vive una marginalità sociale profonda, una vita fatta di abusi ed umiliazioni e un presente di miseria comune a decine di milioni di persone nel mondo occidentale, e negli Stati Uniti in particolare. Qui come non altrove il personaggio si presta straordinariamente per diventare l’allegoria della situazione socio-politica della contemporaneità.

Joker tratta temi attuali e sensibili negli Stati Uniti come: la mancanza di assistenza sanitaria, la diffusione capillare delle armi da fuoco, nonché la totale mancanza di welfare che contribuisce ad alimentare l’emarginazione, la disuguaglianza ed il disagio sociale. Lui non è un rivoluzionario ma sicuramente un anti-eroe attraverso cui si riflette una grossa parte della società in un paese che si dimostra essere cinico, spietato e, per certi versi, impossibile da cambiare. Nelle battute finali dei due films la maschera erudita di V e’ superata da quella di Joker; mentre nel primo l’eroe e’ rappresentato da un esercito mascherato e disarmato che fronteggia in modo ordinato la polizia; nel secondo il protagonista e’ in mezzo ad una folla mascherata ed impazzita, un popolo di “losers” che sembra disposto a tutto. Prove tecniche di ciò che accadrà due anni dopo con l’assalto al Campidoglio nel Gennaio 2021?

© Lana & Lilly Wachowski I Fotogrammi tratti dal film V per Vendetta.

Il cinema contemporaneo ci insegna che il dissenso passa attraverso un sorriso. Ma da dove viene quello delle maschere della disubbidienza? L’arte ancora una volta ci aiuta a comprendere. Saul Steinberg (1914-1999) è stato un disegnatore e illustratore tra i più importanti del’900. Rumeno, naturalizzato statunitense, prima ancora italiano d’adozione avendo studiato a Milano. Tra il 1959 e il 1963, l’artista produsse maschere con sacchetti di carta sui cui disegnò una serie di facce stilizzate che divennero famose come The Mask Series, grazie alla raccolta fotografica ad opera di Inge Morath (1923-2002). Tali immagini calate sul viso ritraevano lo stesso artista e i suoi amici. Se inizialmente questi travestimenti rappresentavano semplici “giochi di società”, successivamente si arricchivano di caricature, smorfie e sorrisi sempre più maniacali ed inquietanti. Oggi, in quelle maschere, è passibile riconoscere la metafora oscura di un’America che sotto quei risolini sdolcinati ed ipocriti nascondeva la natura grottesca del “sogno americano” degli anni ’50; concetto questo ben sintetizzato da Steinberg in un’intervista rilasciata a Sergio Zavoli nel 1967: “È l’ultimo paradosso di un moralista, la maschera non come fuga ma come emblema di ipocrisia e forse strumento di salvezza. Nella società della solitudine a chi serve nascondersi? Forse agli unici testimoni della nostra ambiguità, cioè a noi stessi”.

© Lana & Lilly Wachowski I Fotogrammi tratti dal film V per Vendetta.

Ma torniamo alla maschera di Salvador Dalí e alle ambiguità che la caratterizzano. Partiamo dal fatto che l’artista spagnolo fu un sostenitore del regime autoritario di Francisco Franco. Mascherarsi con la sua faccia, i protagonisti della serie TV si sarebbero preso gioco del dittatore che per tre decenni ha governato con la forza il paese. Ma il regime che qui si combatte non ha il volto del Caudillo; e’ quello della finanza, di quel sistema cinico, infido ed invisibile che governa il mondo. Dietro la maschera di Dalí si nasconde il messaggio che invoca alla “resistenza”. Cosi dice Alvaro Morte: “Ciò che questa maschera rappresenta è lo spirito di resistenza che dovremmo avere tutti di fronte ad ogni ingiustizia”. Quindi “resistenza”, una parola ormai obsoleta se non addirittura abolita dal nostro vocabolario. Una sensazione che tutti noi abbiamo avuto almeno una volta nella vita di fronte ad una prevaricazione, provocando in noi un senso di solidarietà se non addirittura appartenenza nei confronti delle vittime di questo o quel sopruso. Ma questa maschera rappresenta anche la sintesi delle follie, stravaganze e paradossi dell’artista spagnolo che con la sua genialità e carisma ha mantenuto vive le avanguardie che erano già nell’orlo della decadenza celebrando il ruolo di “guida”. Con lui si celebra l’intelligenza e superiorità del la “capo”, di colui che vede oltre e decide per il bene degli altri. Per fare ciò il Professore è costretto ad aggiustare il suo piano in base hai personalismi (errori) dei componenti della banda, adottando una continua negoziazione con il potere (polizia). La sua moltiplicazione la rende un’immagine “pop”, un oggetto di consumo per un messaggio di massa. Qualsiasi sia l’interpretazione più vicina al vero significato della maschera di Dalí, ognuno di questi è la dimostrazione che ogni espressione d’arte che sia l’arte stessa, la TV o il cinema, racchiude in sé una miriade di significati e questi ultimi sono spesso il frutto delle nostre esperienze.

Nell’antichità le maschere rappresentavano le forze sovrannaturali della divinità. Nel mondo africano in particolare la maschera viene usata dallo stregone per dimostrare la propria superiorità o la superiorità dei poteri ch’egli rappresenta e che legano la comunità alle forze sovrannaturali, in cui la comunità crede. Le maschere dell’arte prima e quel del cinema poi sembrano rappresentare le forze sub-naturali dell’uomo, l’incapacità di essere o la volontà di ribellione a questa incapacità. Il “travestimento” serve per nascondere un vuoto, e nel contempo per indicare che si vuole colmarlo con un pieno diverso. Il simbolo della maschera indica un bisogno di protezione, ma anche di cambiamento di cui non si e’ sicuri di ottenere. È il “non-essere” che vorrebbe farsi “essere”. L’identità è stata frantumata dalla storia della civiltà borghese e da quella della globalizzazione poi, e come tale è irrappresentabile. Per questo la maschera, o meglio la scomposizione del soggetto, diventa l’unico modo che l’artista ha di non giudicare l’osservatore e l’osservatore l’unico modo che ha di guardare se stesso. L’arte occidentale (moderna) ha posto le basi per uno sviluppo ambivalente che poteva portare o alla distruzione dell’arte in quanto tale, o alla trasformazione dell’arte in strumento di contestazione della realtà sociale. Les Demoiselles d’Avignon, ideato in origine con un significato erotico-allegorico (il suo titolo originario era Il bordello filosofico), segna, convenzionalmente, l’esordio del Cubismo che ha segnato la fine di un mondo in cui l’arte ha contribuito alla trasformazione della società mettendo in discussioni certezze allora incontentabili.

© The Saul Steinberg Foundation I Le maschere di Saul Steinberg.

Stiamo vivendo un fenomeno culturale nuovo se non addirittura cruciale per il nostro futuro. I mezzi d’intrattenimento hanno preso il sopravvento. In particolare, il cinema in streaming sta cambiando la nostra percezione della realtà e conseguentemente i nostri comportamenti, per non dire i nostri principi. Serie televisive come Mr. Robot, La Casa di carta, o film come V per Vendetta e Joker toccano i punti delicati dalla nostra coscienza e senso di giustizia. La pandemia di covid ed il conseguente lockdown ha indubbiamente spalancato la porta di casa a Netflix & Co. Il binge watching (maratona televisiva) dei canali streaming ci hanno e ci stanno anestetizzato dalle dinamiche del presente facendoci perdere quella coscienza critica dei fatti, che regola le nostre azioni. Le dimostrazioni come quelle accadute a Capitol Hill del 2021, fino a pochi anni fa sarebbero state considerate (in Europa) diritti “acquisti” di disubbidienza civile all’interno delle dinamiche della democrazia, oggi, invece, sono intese come attacco alle istituzioni globali. Eppure noi tutti abbiamo tifato per 5 anni per la banda del Professore. Abbiamo cantato con loro “Bella Ciao”, un inno alla libertà che grazie a questo sceneggiato si e’ liberato della demagogia delle origini diventare la voce di tutte le ingiustizie nel mondo.

Dietro all’indice di gradimento di molte fictions si cela la mano del soft power (in italiano, “potere dolce” o “potere di convincimento”) che riesce attraverso il “teatro dell’intrattenimento” (televisione, cinema e streaming) a persuadere, convincere, attrarre e cooptare valori utili alla salvaguardia degli interessi dello staus quo. I governi vanno e vengono, i giochi della comunicazione cambiano, ma la legge dell’intrattenimento come arma di distrazione (e di influenzamento) di massa è sempre operativa. I grandi paesi industrializzati conoscono nell’intimità il potere dell’intrattenimento e lo usano a scopo pedagogico. La “altra faccia del potere” ha capito che e’ meglio far vivere nell’immaginazione il senso della “rivoluzione” – comodi sul divano di casa – piuttosto che lasciarla fare. Solo cosi si spiega come la maggior parte della società occidentale sembra accettare misure restrittive sicuramente sproporzionate nel rapporto tra emergenze e cultura democratica.

 


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