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Un urlo straziante squarcia il silenzio sotto il Viadotto del Ponte all’Indiano

 

© arcomai I Mura del Mondo, Viadotto del Ponte all’Indiano, Firenze.

L’arte pubblica, e in particolare i murales, rappresentano un potente strumento di espressione e di denuncia, soprattutto quando si tratta di temi delicati come la guerra. Questi dipinti su muro, con i suoi colori vibranti e messaggi incisivi, rappresentano da sempre un riflesso dell’anima collettiva. Quando si parla di guerra, i murales diventano un vero e proprio campo di battaglia, dove le immagini e le parole si scontrano con violenza e dolore. Si tratta di opere che grazie alla loro immediatezza e alla loro capacità di raggiungere un pubblico vasto ed eterogeneo, sono diventati un linguaggio universale per esprimere l’orrore della guerra, la speranza per la pace e la solidarietà verso le vittime. Dalle strade di città metropolitane ai muri dei piccoli centri urbani, le opere degli street artists diventano un monito, un’accusa, uno strumento per denunciare le ingiustizie e le atrocità dei conflitti; esprimere la rabbia e la frustrazione di chi ne subisce le conseguenze, ma anche un invito al cambiamento per costruire un futuro di pace e di speranza.

© arcomai I Mura del Mondo, Viadotto del Ponte all’Indiano, Firenze.

Sotto al Viadotto del Ponte all’Indiano nella periferia nord di Firenze esiste una “cattedrale” laica a cielo aperto composta da due navate fatte da una sequenza dei piloni in cemento che portano all’omonimo ponte. Da anni queste enormi colonne piatte – che io chiamo Mura del Mondo – sono diventate superfici su cui si cimentano artisti di ogni eta’ e provenienza riproducendo graffiti di vario genere e significati. Da un mese ve ne e’ uno che vale la pena menzionare per la sua fattura accurata e per il messaggio dirompente di cui e’ portatore, rompendo il silenzio di un’area negletta a pochi passi da Via Pistoiese. L’opera, il cui autore si firma col nome di Zampra, raffigura una madre con in braccio il cadavere del proprio bambino. Sullo sfondo sembra riconoscere ciò che e’ rimasto di Gaza dopo un anno di bombardamenti. Il cielo e’ nero, e su di esso domina un uomo in giacca e cravatta che, nascosto da una maschera ridente, manovra come burattini tre bombardieri portatori di morte. La maschera e’ quella del potere: quello cinico, occulto e spietato che alimenta l’industria della morte e della distruzione per ottenere profitto.

© arcomai I Mura del Mondo, Viadotto del Ponte all’Indiano, Firenze.

Qui siamo ben lontani dal genere d’arte di denuncia espressa dalla fortunata serie di opere di Bansky, soprannominata “West Banksy”, che una ventina di anni fa egli inizio’ a disseminare lungo la controversa barriera di separazione, nota per l’appunto col nome di West bank – quella barriera di 8 metri, per intenderci, di 730km costruita a partire dal 2002 per separare Israele dai territori palestinesi in Cisgiordania. Qui non c’è’ spazio al paradosso, al sorriso ed al doppio senso; linguaggio tipico dell’elusivo artista britannico. Sotto questo viadotto ci troviamo di fronte ad un capolavoro di sintesi artistica che in qualche modo supera l’arte stessa, Le vetture che sfrecciano ininterrottamente lungo il vicino asse stradale, come droni in azione, producono un rumore che fa da traccia sonora ad un fotogramma impresso sul muro che più lo guardi, più sembra muoversi. Bisognerebbe sostare di fronte ad esso per qualche minuto per rivedere ciò che i media ci hanno raccontato, e soprattutto provare ad immaginare tutto ciò che, invece, non ci hanno mostrato. Sono sicuro che alla fine il silenzio di questo spazio sarà rotto dall’urlo di una donna. L’autore ha messo in scena una “verità” lucida e straziante. Ha impresso sul cemento un documento storico che come un reportage giornalistico racconta un fatto realmente accaduto, proponendoci margini di riflessione. D’altronde, l’arte libera non mente mai.


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