The Peak: Zaha Hadid, istruzioni per l’uso
© Luke Hayes, Photographer. The Peak.
In un’intervista del 2005 (www.scottisharchitecture.com) Caroline Ednie rammentava a Zaha Hadid una chiacchierata (pubblicata su «The Herald Magazine»,12/12/04) avvenuta un anno prima con Renzo Piano. Quest’ultimo, criticando l’ossessione corrente per il commissionare opere iconiche agli architetti, evidenziava da un lato l’autoreferenzialità del progettista e dall’altro la passività del pubblico nel valutare gli edifici solo per la loro riconoscibilità: l’idea che l’architettura debba essere iconica e riconoscibile non è una forza, ma una debolezza. Hadid, sorpresa da siffatte dichiarazioni esternate proprio dall’autore (insieme a Richard Rogers) del Centro Pompidou (per lei pietra miliare della “iconic architecture”) replicava affermando: la condizione iconica di un edificio non deve necessariamente scaturire da un gesto ostinato e superficiale. Può essere l’effetto di una traduzione in opera spazialmente innovativa di un edificio socialmente importante.
Nel periodo in cui l’Opera di Parigi veniva portata a termine, Hadid si laureava alla Architectural Association di Londra, dopo una laurea in matematica conseguita all’Università americana di Beirut. Sei anni dopo, nel 1983, il nome della Hadid irrompeva nella scena internazionale grazie alla pubblicazione nella stampa specializzata del The Peak, progetto per un club sulle colline di Hong Kong risultato vincitore in un concorso internazionale. E’ da questo progetto – rimasto poi sulla carta – che inizia il percorso della mostra «ZAHA HADID Architecture and Design», che il Design Musem di Londra dedica alla nota star dell’architettura mondiale, una retrospettiva che raccoglie le principali opere dell’architetto di origine irachena, prima donna a ricevere il Pritzker Architecture Prize (2004).
ZAHA HADID Architecture and Design, piante dell’allestimento.
La mostra – a cura di Nicole Bellamy, Sophie McKinlay e Deyan Sudjic, direttore del museo – si sviluppa su due piani del bianco edificio razionalista affacciato sul Tamigi. Al primo livello una selezione di modelli, piante, schizzi e dipinti raccontano il lavoro dello studio che quest’anno festeggia il suo trentesimo compleanno. La stanza e’ buia e un’intera parete e’ trasfomata in schermo. Foto, renderings e animazioni raccolgono, in una frenetica sequenza di immagini, il diorama archittettonico della Hadid suddiviso in: progetti non costruiti, progetti realizzati e in corso. Al secondo livello, la finestra a nastro della sala porta dentro il museo lo skyline della citta’ che, riflettendosi sulle scatole in plexiglass dei modelli, fa da sfondo ai “works in progress” ivi esposti. Il restante spazio e’ occupato da alcuni prodotti di arredamento, tra i quali un’edizione limitata di oggetti disegnati per la società Established & Sons.
In mostra si possono vedere tutti i progetti a noi più familiari; superfluo sarebbe riportarne i nomi. Inediti, o meglio non conosciuti come gli edifici, sono alcuni dipinti dell’architetto elaborati tra l’83 e il ’93: straordinarie visioni architettoniche che svelano al visitatore i suoi affetti giovanili per il suprematismo e il costruttivismo russo, nonche’ la sorgente astratta della sua formazione. La serie di quadri che riproduno il processo progettuale del The Peak, sorta di sequenza cinematografica, svolge la funzione di manuale d’uso per l’interpretazione dell’allestimento. Una guida, tuttavia, non certo di facile lettura, come dimostra l’esploso isometrico che, concludendo la composizione, puo’ lasciare perplesso chi guarda la disintegrazione dell’edificio.
In occasione della retrospettiva che il Guggenheim di New York ha dedicato ad Hadid lo scorso anno, Fuksas ha detto di lei in un editoriale de L’Espresso (14/07/06): ha contribuito a rendere l’architettura popolare e non più soltanto elitaria. Il Centro Pompidou non è nato “icona”; la London Bridge Tower di Piano lo è già anche se non ancora realizzata, così come il progetto per le Dancing Towers della Hadid ad Abu Dhabi. Sono i media – non l’oggetto – a rendere riconoscibile un’architettura, svuotandola della sua complessità.
«ZAHA HADID Architecture and Design», a cura di Nicole Bellamy, Sophie McKinlay e Deyan Sudjic. Londra, Design Museum, fino al 25 novembre 2007
© arcomai l L’allestimento della mostra al secondo piano del Design Museum.