Biennali di tutta Europa. Unitevi!

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© arcomai l Metavilla / Padiglione della Francia alla 10. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. “L’occupazione atipica dello spazio e l’apertura al pubblico di questo padiglione nazionale precluso è un atto architettonico di per sé. Probabilmente l’unico che si possa intraprendere in questo periodo di panico sulla sicurezza e di guerra latente. Accogliere lo straniero, l’altro irriducibilmente diverso, è più urgente che mai. Per fortuna la gioiosa città che si dispiega nel padiglione possiede una propria realtà, qui e altrove. Questa mostra non è altro che un inizio della sua esistenza (da Città. Architettura e Società, Marsilo Editore 2006).

“Cosa ne pensi di questa biennale?” Questa è la domanda/tormentone che, all’apertura di ogni edizione della Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, si ripresenta in tutta la sua spiazzante schiettezza. Solo io l’avrò sentita almeno una dozzina di volte dai colleghi (accreditati stampa alla decima rassegna attualmente in corso) incrociati davanti al  chiosco allestito (nei pressi dell’ingresso ai Giardini) per offire acqua fresca agli ospiti della tre-giorni che ha preceduto l’apertura al pubblico dell’EXPO. Come un confessionale di una qualsiasi “opera buffa” televisiva, questo punto di ristoro ha raccolto le nominations di questo o quello dei padiglioni partecipanti alla chermesse veneziana. Una domanda intima, sfacciata, ambigua che esprime, in tutta la sua banalità, la difficoltà anche per gli addetti ai lavori di comprendere il tema che quest’anno ha come titolo Città. Architettura e Società.

Da ogni esposizione ci si aspetta sempre qualcosa di nuovo; perché non si è capito il senso della precedente, o non si è colto il messaggio della nuova; perché non si è riusciti ad esaminare tutta l’overdose di materiale esposto, o non si è stati capaci di mettere a fuoco il diorama polisemico del tutto; ma, soprattutto, perchè non si sa cosa si vuole realmente da iniziative come questa. Ciò è dovuto al fatto che tra una biennale e l’altra non esiste continuità, integrazione, propedeuticità: ogni curatore cerca con la propria formula (ad personam) di fare qualcosa di diverso e, possibilmente (ai suoi occhi o a quelli dell’organizzazione), migliore dell’altro. Ci si inventa il solito titolo/spot e con esso emergenze nuove, anche se poi i guests che le dovrebbero discutere sono sempre gli stessi; vengono spese ingenti risorse statali “a fondo perduto” senza che i risultati raggiunti siano da supporto dialettico per i progetti successivi. Bisognerebbe istituire, tra un’edizione e l’altra, una cerimonia di “passaggio di consegne”, magari accompagnata da una banda militare, in cui il comandante uscente schiera in piazza d’armi mezzi e uomini che il subentrante, dopo averli ispezionati, prendere sotto il suo comando per continuare la lotta contro il nemico che insidia l’architettura. Cambiano le divise ma il corpo dell’architettura è sempre lo stesso.

Alla domanda “Cosa ne pensi di questa biennale?”, io rispondo: “Dipende da che cosa vogliamo noi dalle Biennali?”. Sì perché la Biennale di Architettura di Venezia – in un’epoca di liberalizzazioni – non è oggi una mostra singola, unica, esclusiva, una marca coperta da copyright, ma un evento mediatico, un prodotto di cultura di massa, un format espositivo come tanti altri inserito in un palinsesto globale in cui iniziative similari legate da un comune nome di battesimo – sebbene virtualmente unite attorno al tema dell’architettura – sono a tutti gli effetti fenomeni indipendenti e spesso anche concorrenziali/antagonisti (vedi anche le recenti schermaglie tra la neonata Festa del Cinema di Roma, attualmente in corso, e La Biennale del Cinema di Venezia).

Così a tiro di vettori low-cost la scorsa estate si è tenuta la seconda edizione della London Architecture Biennale nel mentre quella di Istambul è stata spostata al 2007, stesso anno di quella che a Rotterdam aprirà i battenti della sua terza edizione, tra l’altro già reclamizzata durante la vernice di Venezia con la distribuzione gratuita (fuori dai cancelli) di gadjets&brossure. Sembra che i promotori di queste iniziative si siano detti: “Se la fanno gli Italiani – che a Venezia si fanno belli con i nostri progetti – ce la possiamo fare anche noi a casa nostra una biennale di architettura”. Ecco che allora ciò che a noi interessa non è tanto sapere cosa c’è di nuovo in questa edizione madeinitaly, ma quale contributo essa può offrire al dibattito sull’architettura italiana e quindi europea.

Noi Italiani dovremmo essere orgogliosi della Nostra Biennale non tanto per il fatto che tutti ne parlano, quanto perché, allo stato, risulta essere il principale veicolo globale di comunicazione dell’architettura che, ironia del nome, costringe tutti coloro che la adottano a misurare la produzione architettonica secondo un parametro temporale che certo non corrisponde ovunque al ritmo di sviluppo sia sul paino dialettico che costruttivo: due anni cinesi valgono per certi aspetti come dieci anni dei nostri stando, almeno, all’entusiasmo di quegli architetti europei che hanno la fortuna di costruire lì ciò che non riescono a fare in continente. Ma, a proprosito di Cina, è con la Biennale di Pechino  (Architectural Biennal Beijing / ABB2004), la cui edizione d’esordio del 2004 era intitolata Infinite Architecture, che la nostra formula si arricchisce di un primato di natura politica: è stata la prima esposizione internazionale d’architettura a svolgersi in Cina. Biennale come strumento di democratizzazione dei popoli? Perché no!

Nel 2007 la seconda Biennale di Architettura di Istanbul (International Istanbul Architecture Biennale / IIAB) – che in realtà è alla sua prima edizione se consideriamo che si presenta come la continuazione della Instanbul Architecture Festival del luglio 2004 – avrà come tema Acqua e asfalto: “… asphalt roads and the cars roaming on them began invading the earth, waterways were much safer and faster than highways are today, waters determined the ways in which cities geographically spread and belonged to complex patterns molded by seas, lakes, gulfs, canals and rivers.” La terza edizione di Rotterdam (International Architecture Biennale Rotterdam / IABR) col titolo POWER – Producing the Contemporary City, invece, sarà finalizzata ad esaminare“ … the various forces at work in ‘producing’ the twenty-first century city and the role architects and urbanists can play in this crucible of forces”.

Attualmente in Europa sono a regime quattro biennali. Quella italiana, la madre di tutte le rassegne del mondo, con la sua decima edizione, ha dimostrato di essere più una madrina generalista dell’architettura che un genitore rigoroso ed attento all’educazione dei propri figli. Il ruolo della Biennale di Venezia dovrebbe essere, oltre naturalmente quello che già riveste, quello di porsi come promotore/catalizzatore costante di progetti dialettici che abbiamo come finalità il destino delle città europee. Questa proposta trova una sua ulteriore ragione proprio in una stagione in cui il nostro continente – in un processo di lenta ma doverosa ricongiunzione dopo l’oblio dall’era dei due blocchi – sembra ora segnato da altri confini/conflitti che in primis ha nel dualismo tra il mondo cristiano e quello islamico il suo esempio più delicato. Ma l’Europa non è questo, non è un tavolo da ping-pong dove, per far divertire chi non gioca, c’è bisogno di una rete anche se bassa; l’Europa non è la metà del network delle sedici metropoli esposte all’Arsenale, ma una dimensione territoriale che esiste al di là della geometria della geografia, un’entità unica ricca di tante urbanità che – se messe in rete – possono contribuire ad affrontare insieme questioni comuni. L’Europa, per tornare ad essere la Terrra di Mezzo, deve cercare con tutta la volontà la sua anima cosiddetta orientale. Solo così l’architettura ha ragione di essere mostrata, solo così questa può essere compresa, solo grazie ad un progetto comune le biennali hanno una ragione d’essere, giocano un ruolo  formativo con il quale possono contribuire a dare finalmente una nuova identità ad un continente che è e rimarrà sempre al centro del mondo.


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