Il manifesto | the manifesto
Il numero ZERO di ARCOMAI prende vita a Bologna nel mese di ottobre 2003 in contemporanea con un ciclo di conferenze dal titolo “Il futuro della città: scenari e prospettive di sviluppo del territorio urbano nel futuro prossimo venturo”, promosso da chi vi scrive – organizzato dal Quartiere Santo Stefano e patrocinato dallo Assessorato Urbanistica e Casa del Comune di Bologna – con l’ambizione di creare un movimento culturale (per ora locale) fuori dagli schemi preconfezionati del comune agire.
ARCOMAI non vuole essere:
- un architectural magazine (non abbiamo i mezzi nè la volontà di farlo, anche se di architettura si tenterà di parlare in tutti i suoi aspetti):
- neppure un pamphlet patinato per accontentare interessi di parte;
- o una brochure pensata come supporto per reclamizzare questa o quella ditta,
ma un progetto aperto in continuo divenire poiché tutto si muove e perciò tutto deve essere verificato, migliorato e trasformato, secondo un atto critico costante e, se necessario, intransigente anche verso sé stesso.
Nato dalla necessità di:
- tornare a “leggere” la città – ciò che ne rimane o ciò che la sostituirà – attraverso un nuovo approccio allo studio del territorio urbano (che certo la contiene);
- immaginare l’architettura come una disciplina aperta capace di incidere sul “ben essere” della società contemporanea;
- dare nuovamente a chi si occupa di progetto il proprio ruolo istituzionale e metterlo nelle condizioni di individuare gli strumenti mediante i quali tentare di pre-figurare nuovi scenari di sviluppo;
ARCOMAI vuole essere un “documento” duro contro tutto ciò che noi consideriamo vecchio, obsoleto, dannoso, da ostacolo ad un processo attivo teso a prendere coscienza della realtà in tutti i suoi aspetti.
L’obiettivo non è quello di creare una prodotto editoriale regolare, ordinario, prevedibile, già visto, quanto il bisogno di:
- distribuire un “foglio” che possa essere arrotolato;
- affiggere un “manifesto”;
- esprimere una “idea(le)”;
- edificare una “presenza” attorno a cui incontrarsi per discutere su come contribuire alla crescita della società contemporanea attraverso un modo di fare “progetto” che sia coerente con i tempi ed incisivo per la costruzione del nostro futuro;
di realizzare in sostanza un “qualcosa” di cui siamo sicuri sia doveroso mettere a disposizione ora e non più tardi. Da qui il bisogno di un nome che assomigli a un messaggio chiaro, diretto, inconfondibile e da subito portatore in sé di contenuti nuovi, svincolati da schemi precostituiti che li possano rendere già stanchi e inutili ancora prima di essere sviluppati.
La parola ARCOMAI gioca con la radice ARC – da cui è facile dedurre tutta una serie di parole tra loro relazionate e pertinenti al fare architettura – e MAI la sua “negazione”, la sua “auto-critica contro-parte” a dimostrazione della originaria natura ironica, indipendente, mobile, dinamica, rappresentativa della consapevolezza di come la “realtà architettonica” contemporanea viva attualmente nel suo complesso una fase per alcuni considerata critica, per altri di transizione, per noi – prima di pronunciarci – da conoscere, analizzare e valutare al di fuori del chiasso e delle chiacchiere. Ma tale parola è anche l’infinito del verbo che in greco antico significa “comandare” – per noi da intendersi come: “decidere come essere e in che modo crescere” a conferma che tale proposta prende atto da un’intenzione precisa, pre-meditata, mirata ad alimentare un approccio inedito, serio, responsabile: una scelta coerente e decisa che possa contribuire – a chi ne fa propri i valori – a costruire il proprio futuro ed emancipare il proprio sapere.
Si prevede una vita non facile, sicuramente incerta e indefinita e per questo eccitante poiché espressione di:
- una “azione” portatrice di un rischio;
- un “ideale” che si muove in libertà e senza pretesa alcuna sen non quelle di fare ciò che deve essere fatto;
- un “progetto” aperto nei confronti delle esigenze che si presenteranno;
- una “idea” che ancora non conosce i propri limiti ma sa già verso contro chi opporsi.
Usciamo oggi con un numero-unico, da valutare per ora semplicemente come:
- “sfogo” teso a creare imbarazzo e disappunto verso tutti coloro che non pensavano che ciò potesse accadere;
- “rifiuto” violento nei confronti di una cultura surgelata fatta di luoghi comuni che si auto-celebra nei comuni luoghi dell’immobilismo;
- “denuncia” contro un modo di agire e vedere le cose che non riflettono le vere esigenze di coloro che chiedono di essere rappresentati;
- “punto di partenza” per creare inizialmente un evento e poi un movimento (movi_mento) attivo fatto di alleati che condividono un comune approccio al fare società attraverso idee chiare e costruttive.
Non ci siamo organizzati politicamente come un gruppo, la posta in gioco è troppo seria per poter essere frammentata per parti e maltrattata da partiti, ma secondo un comune desiderio di emancipazione verso tutto ciò che è innovazione. L’uomo è a un passo dal baratro: svilupperà tutte le proprie potenzialità oppure rinuncerà alla propria esistenza per sempre. Nel nostro Paese, in questo momento, siamo pronti a sfruttare la nostra genialità partendo da noi stessi forti della convinzione che l’uomo debba assolutamente:
- “inventare nuovamente” se stesso per poter essere in grado di affrontare le scelte terribili che lo aspettano nel futuro prossimo;
- essere capace di poter “scegliere” e “decidere” innanzitutto come vivere sia come individui che come cittadini appartenenti ad una comunità.
L’Italia si trova senza dubbio in una fase di stallo culturale ed etico come del resto tutto l’Occidente ma, dalla sua, ha un potenziale di sviluppo che poggia sulle forti radici della storia e, senza dubbio, su imprescindibili caratteristiche che ci rendono diversi nei confronti di vicini e lontani. Per questo, mossi da un forte ottimismo, crediamo in un nuovo approccio al “fare architettura”come mezzo privilegiato in grado di contribuire alla ripresa dei diversi settori del nostro essere società.
ARCOMAI ha intenzione di ospitare i protagonisti del dibattito sulle nuove idee di ambiente urbano, territorio, progetto ed arte in senso ampio (studi, saggi, tesi, poetiche, idee), rischiando anche di amplificare voci talvolta contrastanti, scomode, contro-corrente, punti di vista irriverenti perché esclusi dal totalitarismo del pensiero comune; il tutto:
- a favorire una nuova alleanza tra cittadino e ambiente;
- a contribuire al rinnovamento della ricerca progettuale, azzerandone i manierismi e vivificandola da pressioni esterne con l’uso di un linguaggio libero da regole e costrizioni.
Le difficoltà che ci apprestiamo ad affrontare con questa iniziativa non sono tanto quelle di accreditare un movimento che non è ancora fisicamente presente con la retorica del caso, quanto di:
- denunciare il caos (dal greco che significa “vuoto”) culturale e morale della società contemporanea;
- sgominare definitivamente l’imperante ipocrisia che affligge la società globale;
- definire in modo chiaro e coraggioso quali siano le possibilità e i limiti di rapportarsi con la realtà che abitiamo;
- restituire all’architettura e al progetto in generale quel ruolo strategico ed istituzionale che gli spettano;
- mettere le generazioni che verranno nelle condizioni di decidere liberamente sul proprio futuro.
Finalità ed obiettivi di ARCOMAI sono sintetizzabili in una frase “pronunciata” nel Luglio 1914 da Antonio Sant’Elia nel Manifesto dell’Architettura Futurista da lui firmato:
LE CASE DURERANNO MENO DI NOI. OGNI GENERAZIONE DOVRÀ FABBRICARSI LA SUA CITTÀ
A distanza di novant’anni – lontani da qualsiasi forma di necrofilia tombarola che la “cultura del quotidiano” alimenta morbosamente ogni qual volta decidere di maneggiare il “passato” (storia) per tentare di riempire quel vuoto (caos) di idee che la rende arretrata/inerme nei confronti degli eventi del presente – troviamo in queste parole un approccio al progetto straordinariamente attuale (senza tempo) poiché concepito come strumento attivo all’interno di un ambiente abitato (città) inteso come:
a) organismo dinamico/mutevole;
b) espressione di chi lo abita;
c) luogo:
- del progetto/innovazione che può produrre sì sviluppo/progresso ma in modo misurato/compatibile con le reali esigenze della collettività;
- della partecipa-azione, del dialogo e del confronto critico;
- della continuità (memoria attiva) tra le diverse generazioni e non della prevaricazione di una sull’altra;
- dell’arte (“dove c’è arte non c’è conflitto”);
- della società multietnica (caducità, transitorietà, mobilità e quindi nomadismo);
- della alleanza tra l’uomo e il suo ambiente (non solo urbano): nel Manifesto Futurista si chiede/vuole un’architettura semplice, audace, temeraria: “… del cemento armato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti quei surrogati del legno, della pietra e del mattone che permetteranno di ottenere il massimo della elasticità e della leggerezza”, tutti materiali guardacaso riciclabili e quindi impiegabili nuovamente per costruire ciò che è necessario ad una società in continuo divenire.
NOI SIAMO CONTRO:
i (ri-) e i (re-): ri-strutturare, ri-valutare, ri-qualificare, ri-stabilire, ri-abilitare, ri-vitalizzare, ri-pristinare, re-staurare, re-cuperare, …: “interventi” questi che denunciano in “silenzio” gli errori e le inadempienze di chi in passato ha gestito la pianificazione del territorio (“se c’è manutenzione non c’è riqualificazione”), la responsabilità coatta da parte delle generazioni più giovani di cercare di sopperire a tali mancanze e infine la sudditanza nei confronti di un “mercato” sempre più invasivo.
NOI SIAMO A FAVORE:
dei (-re): fa-re, pensa-re, rischia-re, pro-getta-re, con-corda-re, sceglie-re, (insieme) …, tutte “azioni” indispensabili per “decide-re come esse-re e in che modo cresce-re”.
Bologna, 24/9/2003
il Presidente, Arch. Nicola Desiderio