Il restauro dell’ex Padiglione della Direttissima per una più moderna scuola per l’infanzia

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© simona greco l Il Padiglione della Direttissima Bologna-Firenze (foto Archivio di Stato / Fondo Villa) e oggi Scuola materna e dell’infanzia “Lea Giaccaglia Betti”.

Il Padiglione della Direttissima Bologna – Firenze (1934), sul Parco della Montagnola, è uno degli esempi più interessanti dell’architettura fascista bolognese. Segnato, nei suoi caratteri principali, dallo stile moderno dei razionalisti, esso ha perso oggi parte della sua chiarezza formale, un po’ per l’incuria e un po’ per le tante modificazioni subite nel tempo. Dopo aver ospitato nel corso dei suoi settant’anni di storia mostre, esposizioni, serate danzanti e uffici, il Padiglione accoglie oggi, da più di trent’anni, la scuola materna e dell’infanzia “Lea Giaccaglia Betti”. In seguito alla decisione, presa dall’Amministrazione Comunale, proprietaria dell’immobile, di ridurre il numero dei bambini ospitati dalla scuola, la “Associazione Parco della Montagnola” ha coinvolto la Facoltà di Architettura di Ferrara per elaborare, in occasione di una tesi di laurea, una concreta proposta progettuale che dimostri la compatibilità della messa a norma dell’asilo con il restauro dell’edificio che lo ospita.

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© simona greco l Progetto: fronte nord prima e dopo l’intervento.

Il progetto sviluppato nella tesi è stato quindi quello di rileggere criticamente gli spazi della scuola, compiervi le necessarie messe a norma e correggerne le carenze distributive. Sotto questo aspetto il progetto ha previsto, tra l’altro, l’inversione della attuale suddivisione degli spazi, che prevede l’asilo nido situato al primo piano e la scuola materna al piano terra, con notevoli disagi soprattutto per i più piccoli. Questa scelta è stata inoltre dettata da esigenze di sicurezza; in caso di improvvisa evacuazione dell’edificio infatti, è più agevole far uscire i bambini più piccoli dal piano terra piuttosto che dal primo, in quanto la maggior parte di loro va portata fuori in braccio.

Dal punto di vista, invece, delle problematiche che l’edificio ha posto in campo restaurativo, il principio seguito è stato quello di rispettare l’attuale funzione scolastica del Padiglione, cercando però di mettere nuovamente in evidenza quei caratteri formali andati perduti nel tempo. Questa scelta non è stata però cosÏ immediata, soprattutto in seguito alle scoperte attuate dalla ricerca storica e all’antica iconografia ritrovata, che hanno mostrato l’edificio nella sua conformazione originaria di Padiglione espositivo, quando la funzione era un tutt’uno con il grande doppio volume che occupava lo spazio interno. I dubbi in sede di elaborazione progettuale hanno quindi riguardato il modo in cui rileggere gli spazi, quale istanza (storica o estetica) seguire, quale attività far ospitare a questo oggetto architettonico cosÏ complesso, senza rischiare di compiere falsi storici o di “imbalsamare” l’edificio in un’improbabile funzione. Forte è stata la tentazione di lasciarsi trasportare dalle tante testimonianze della configurazione “originaria” del Padiglione che spingevano per un totale o parziale ripristino di questo stato e della sua funzione espositiva. Ma non è stata questa la strada intrapresa; sarebbe stata infatti un’operazione totalmente arbitraria quella di cancellare decenni di storia per rifarsi ad una fase che, per quanto “originaria” e quindi perfettamente compiuta in sé, è durata soltanto pochi anni e che, nel tempo, è stata seguita da continue trasformazioni, che hanno adattato l’edificio a nuove esigenze, cambiamenti di gusto, di stili di vita, ecc.

L’atteggiamento conservativo seguito è, invece, consistito nella salvaguardia delle autenticità che la storia ha consegnato con la consapevolezza che, intervenendo su di un edificio, si instaura comunque un dialogo attivo con esso, che provoca sempre delle trasformazioni sul manufatto. Oltretutto, nel caso del Padiglione della Direttissima, voler ripristinare una soluzione che riprendesse le forme e la funzione espositiva originaria, avrebbe voluto dire rompere quel legame forte che, nel corso degli ultimi trent’anni, ha legato l’edificio alla città ed ai suoi abitanti. La scuola materna e l’asilo nido sembrano fatti apposta per essere ospitati all’interno del grande Parco della Montagnola, dal quale ricevono uno scenario di verde e di tranquillità e, nello stesso tempo, contribuiscono a rendere vivo e vissuto nella maggior parte delle ore della giornata.

Il progetto di “riuso” ha quindi cercato di comporre il nuovo con l’esistente, ricostruendo l’unità formale e d’uso dell’opera, attraverso la definizione degli elementi di analogia e di differenza tra le sue parti esistenti da conservare e quelle di nuova costruzione. Questo è stato possibile solo in quanto il passato è stato utilizzato ed è rimasto soltanto un riferimento, un elemento da adeguare al contesto attuale, riletto attraverso il linguaggio progettuale. All’interno, ad esempio, il nuovo solaio intermedio (inserito a più riprese nel corso degli anni) è stato considerato parte integrante dell’edificio e si è cercato di ricreare la spazialità originaria del Padiglione uniformando la pavimentazione (che riprende nella forma e nel colore quella originaria), lasciando solo alcuni muri che traccino segni forti e testimonino il loro momento storico di inserimento ed infine suddividendo lo spazio con tramezzature leggere e mobili, che garantiscono inoltre alle aule e agli spazi interni la flessibilità necessaria alla funzione scolastica ospitata.

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© simona greco l Progetto: pianta del primo terra e spaccato del modello.

Altri elementi forti della progettazione dell’interno sono stati la parziale riapertura del salone originario, la chiusura dei cortili aperti negli anni Settanta al primo piano e la demolizione delle tramezzature che oggi ostruiscono in parte i vani scala, privandoli del loro originario slancio verticale. Per i fronti esterni il discorso è stato ancora diverso. Questi erano infatti l’elemento formale più forte e pregevole del Padiglione, con il loro andamento curvilineo, i segni orizzontali delle finestre a nastro e la verticalità delle torri delle scale. L’accurata documentazione storica esistente a riguardo ha fatto ritenere opportuna una rilettura dei prospetti in chiave di un restauro scientifico. Piccole attenzioni come il ridimensionamento delle aperture, la scelta degli infissi e degli elementi vetrati e la ritinteggiatura in bicromia dei fronti li hanno restituiti alla loro originaria importanza. » stata infine ridefinita l’importanza del fronte nord, una volta accesso principale al Padiglione e oggi mero retro. Questa è stata ottenuta, in primo luogo rimuovendo la centrale termica, ridisegnando il partito centrale ed infine ripristinando l’antico accesso all’edificio dal lato della Scalea, tra l’altro da poco finito di restaurare.

Il lavoro di tesi, qui riassunto, si è quindi posto come traccia da seguire per chiunque voglia intervenire su di un edificio che, ormai consacrato al rango di “opera d’arte”, svolge tuttavia una funzione ancora attiva per la società, che deve essere rispettata e integrata, in caso di intervento edilizio, con i principi propri del restauro architettonico.

Simona Greco si è laureata alla Facoltà di Architettura di Ferrara (2005) presentando un progetto in restauro architettonico dal titolo: “Il Padiglione della Direttissima Bologna – Firenze. Analisi critica e ipotesi di restauro”. Il lavoro è stato seguito dai relatori Prof. Arch. A. Alberti (Restauro Architettonico / Laboratorio di Sintesi del Restauro) e Prof. F. Laudiero (Tecnica delle Costruzioni) e dal correlatore Arch. L. Tizi (Laboratorio di Restauro).

 

 


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