Del futuro architettonico di Bologna
© MCarchitects l Viste interne dell’urban center: l’atrio in corrispondenza dell’ingresso, il corridoio distributivo; la sala esplosiva principale.
Il futuro architettonico di Bologna è custodito nelle sale sotterranee del padiglione informativo dell’eBO – l’info box o urban center di piazza Re Enzo noto come “le gocce”, contrastato esempio di architettura contemporanea che dal giorno della sua inaugurazione (15 luglio 2003) alla fine di novembre scorso “ha toccato la cifra record di 200 mila visitatori” [Urban center, 11 marzo 2004]. È qui che sono esposti i progetti che dovrebbero “traghettare” Bologna verso un nuovo “assetto” territoriale in grado di rilanciare sia sul piano poliitico-istituzionale che su quello socio-economico una città che sembra aver perso in questi ultimi anni quel “ruolo di punta” che sempre l’ha distinta sulla scena nazionale e non.
E’ attraverso l’analisi di questo panorama virtuale che tenteremo di disegnare una “mappa” che ci possa far immaginare come sarà Bologna nei prossimi anni. Trascurando le orami sopite polemiche su “le gocce” – destinate però a riaccendersi nei prossimi mesi – diciamo subito che quest’opera di architettura è rappresentativa di una fase storica non solo per la città. Se consideriamo, infatti, le recenti dichiarazioni del bolognese Gianfranco Fini – vice primo ministro nonché presidente del partito della Destra che recentemente ha proposto (non senza suscitare polemiche) il voto agli immigrati – e la candidatura appoggiata dalla Sinistra di Sergio Cofferarti a sindaco di una città che non è la sua, si decreta la morte definitiva della “bolognesità” come “identità” eterna/condizionante e, paradossalmente, si fa di questa architettura – disegnata dal forestiero Mario Cucinella – il monumento al delicato passaggio politico-culturale che la società italiana sta attualmente attraversando.
Il caso “gocce” è una vicenda tutta madeinbo di cui la popolazione non ha saputo sfruttarne l’eccezionalità per interrogarsi serenamente sul proprio passato e discutere seriamente su come contribuire a costruire il proprio futuro. Tale “svista” è ancora più significativa poiché ha contribuito a mettere a nudo una “comunità”, quella degli addetti ai lavori (architetti, ingegneri, geometri e accademici vari), che si scopre reazionaria, prevedibile, diffidente al “nuovo”, prevenuta ed impreparata a discutere sul “diverso”, da troppo tempo a “digiuno” dal dibattito sull’architettura contemporanea, latitante negli appuntamenti cruciali per il suo sviluppo, schiacciata dalla burocrazia, dal profitto ma soprattutto succube del “predominio” giuridico-decisionale delle sovrintendenze. C’è qualcosa di “nuovo” in città e noi non ce ne siamo accorti.
A premessa di questo contributo è opportuno evidenziare che non ci si soffermerà tanto sugli aspetti prettamente “linguistici” (architettonici) e quindi mutevoli di ciò che qui è allestito – i “disegni” (qui: renderings, animazioni, foto, filmati, plastici) non sempre dicono il “vero” – ma si cercherà di capire come questo diorama progettuale inciderà sullo “sviluppo” complessivo di Bologna. Per agevolare tale obiettivo si è deciso di dividere il materiale – esposto nei 500 mq. dell’urban center – in quattro sezioni: i progetti di “ri-qualificazione” lungo i viali di circonvallazione; quelli di “sviluppo” al di là della ferrovia; quelli inerenti al “sistema integrato della mobilità”; quelli che “non ci sono” e che fanno di questo “paesaggio virtuale” il manifesto di una “città inconclusa” o di una “metropoli con un futuro a metà”. L’aver escluso i progetti delle Ferrovie dello Stato e quelli conservativi dei monumenti “storici” nasce dal fatto che il programma dell’Alta Velocità è più rilevante a scala regionale che a quella metropolitana, mentre gli altri meriterebbero un’analisi a parte perché espressione di ciò che Pierluigi Giordani ha definito in un attento studio intitolato Bologna ieri e oggi, “L’uso strumentale e ideologico della memoria (che) ha così promosso – o quantomeno favorito – la museificazione epidermica della città del passato” [in “L’architettura, cronache e storia”, n.576 ottobre 2003].
Da sinistra. Mappa delle aree di sviluppo della città. Mappa del trasporto pubblico integrato (SFM, MAB, “tram su gomma”, AV, parcheggi).
Entrando in tema apriamo con i progetti di ri-conversione di due rilevanti aree: la Manifattura delle Arti –(ex Manifattura Tabacchi e in fase di completamento) – e il Parco del Gasometro (ex Seabo previsto non prima del 2007) – entrambe accessibili dai viali di circonvallazione e segnate da un dignitoso passato industriale. Sebbene questi due “comparti urbani” abbiano l’ambizione di divenire strutture ad uso essenzialmente socio-culturale, purtroppo non si attivano come “strumento connettivo” mediante il quale relazionare il centro “storico” con la fascia urbana al di là dei viali e rendere veramente pubbliche le funzioni lì proposte. Mancando, infatti, un approccio progettuale organizzato secondo un “sistema aperto” che ne garantisca permeabilità e accessibilità – attraverso anche la demolizione delle “cortine murarie” (“setti urbani” ed edifici di scarso valore architettonico) che negano queste due aree all’ambiente urbano – si penalizza, inevitabilmente, una spazialità che dovrebbe partecipare allo sviluppo di questi ambiti della collettività.
Il territorio delle nostre città è in mano alla politica, è diventato un grosso album di “figurine-Panini” da completare o meglio da riempire con operazioni come: la ristrutturazione, il recupero, la rivalorizzazione, ecc., tutti “interventi” che denunciano in “silenzio” gli errori e le inadempienze di chi in passato ha gestito la pianificazione del territorio (“se c’è manutenzione non c’è riqualificazione”) e la sudditanza nei confronti di un “mercato” sempre più invasivo.
Passando, invece, ai progetti ex-novo possiamo dire che il programma di sviluppo della città si organizza entro la “fascia” compresa tra la ferrovia e la tangenziale lungo un “asse infrastrutturale”, che ha come vertici matrice i “potenziati”: Quartiere Fieristico e l’Aeroporto G. Marconi e al cui interno troviamo le tre “cittadelle tematiche” de: la Sede Unica degli Uffici Comunali (Area ex Mercato Ortofrutticolo), il Nuovo Polo Scientifico (Chimica e Astronomia) al Navile e la Nuova Sede della Facoltà di Ingegneria (Area Bertaria-Lazzaretto). Non è quindi casuale che all’interno di questo enorme “spicchio metropolitano” si materializzi una delle direttrici – somma della prima tratta metropolitana della linea 1 con la 2 – più forte del network del trasporto pubblico ed “autonoma” rispetto al sistema integrato della mobilità. Tale sistema “emancipato” dei trasporti (SFM/Sistema Ferroviario Metropolitano, MAB/Metrò leggero Automatico di Bologna, il “tram su gomma”) è abbastanza “singolare” perché insieme alla Linea Ferroviaria e alla Viabilità Veloce è organizzato per “assi paralleli” (elogio alla Via Emilia) che lo rende sicuramente unico in campo europeo. In questo sistema di “attraversamento” diventeranno così strategiche le “interferenze” programmate nei nodi intermodali di interscambio. Questo nuovo “schema” della mobilità potrebbe giocare un ruolo determinante sia per rimettere insieme le “pagine” del tutto città – sovrapponendosi così trasversalmente alla trama degli stradari – che tentare di promuovere una “politica del movimento” che non sia solo funzionale Infatti con le nuove fermate, stazioni e terminal si creeranno nuovi luoghi della “città e per la città”, nuove realtà che, oltre ad influire profondamente sulle “abitudini” di chi si muoverà nel bacino bolognese con i mezzi pubblici e privati, creeranno una percezione del territorio sicuramente diversa dall’attuale perché organizzata secondo una rete inedita di “catalizzatori del comportamento” (“punti/simboli” di riferimento/orientamento) che molto incideranno sulle relazioni sociali e sulle economie di determinate aree urbane.
Bologna ha bisogno di trovare un nuovo “assetto” capace di far dialogare in modo “trasversale” e facile i diversi “ambiti” che la compongono, rifiutando incondizionatamente un territorio concepito come “sistema a distretti”, un arcipelago di “isole/erogatori” di servizi specialistici, di enclave per “iniziati” in cui l’individuo è ridotto a doversi identificare come cittadino per poter usufruire delle “attività” che la città offre. Per questo motivo bisognerebbe già da ora superare la convinzione che l'”obiettivo finale” sia solo quello di raggiungere un alto livello di “efficienza”, ma pre-vedere sin da ora come pro-gettare gli ambiti in cui tali infrastrutture verranno a collocarsi, in modo da evitare risultati omologanti e inefficienti.
In questa riforma urbana si evidenza il chiaro indirizzo di “modernizzare” Bologna al di là del centro storico, trascurando così quella fascia meridionale del suo territorio che se coinvolta potrebbe partecipare strategicamente a questo “processo” di ri-strutturazione metropolitana e contenere gli effetti negativi di ciò che noi definiamo il lento processo di “scivolamento” di Bologna verso la pianura. Senza la “mutilazione” della tratta Stazione-Corticella della linea 1 – una costante della pianificazione trasportistica degli ultimi vent’anni – si sarebbe potuto realizzare quella trasversalità funzionale necessaria ad emancipare un approccio unitario al “sistema città”. Per questo motivo possiamo dire che nell’urban center viene presentata una “città a metà”, una “prospettiva inconclusa” perché disegnata senza coinvolgere la sua parte non costruita: “La collina è il verde di Bologna e Bologna è, a sua volta, la parte abitata della collina”.
Significativo come il Piano abbia sempre ignorato questo inscindibile legame con la collina, abbia girato intorno ad essa, l’abbia trascurata, relegata, rifiutata e per questo involontariamente “protetta”. Una situazione che è già progetto: i Giardini Margherita, l’ex Area Staveco (potenziale Giardini Margherita 2) e S. Michele in Bosco (l’acropoli della città) che se messi in relazione “complementare” potrebbero dare vita ad un “parco attrezzato/urbano” unico in tutto il panorama nazionale. Una “cerniera virtuale” tra l’artificiale e la natura (in scala più ampia tra Pianura ed Appennino) che se risolta sul piano dell’accessibilità creerebbe le condizioni per ri-costituire in modo trasversale quella “continuità” del tessuto urbano necessaria a ri-equilibrare un assetto strutturale troppo sbilanciato verso le aree più facilmente edificabili. A questa incompletezza della mappa architettonica di Bologna dobbiamo aggiungere il non “vedere” come verranno ri-convertiti gli immobili comunali con il trasferimento delle loro funzioni nell’area dell’ex Mercato Ortofrutticolo. Questa “piacevole mancanza” stimola in noi l’immaginazione. Con la realizzazione di questa operazione il disegno “destabilizzante” del “denigrato” Cucinella porterà a termine un processo che in realtà è in atto già prima della realizzazione de “le gocce”.
Se la città oggi è fatta di tanti centri (storico, urbano e urban, amministrativo, economico, culturale, fieristico, convegni, scientifico, commerciale, sociale, estetico, sportivo, ecc.) come si fa ad accontentarsi di avere un centro che sia più centro degli altri senza che questi emerga come unico, irripetibile e indispensabile? In un’epoca in cui i centri storici sono diventati grosse “zone pedonali” di attraversamento, “baricentri” da percorrere in tempi brevi per raggiungere più facilmente tutti gli altri, bisognerebbe approfittare di questo de-centramento per fare del centro il cuore di una “centralità” esterna/estranea alla rete funzionale dei centri-servizi. È questa la grande “sfida aperta” su cui la città dovrebbe puntare.
Così Bologna potrebbe divenire un giorno la nuova “Capitale Europea dell’Arte, della Comunicazione e dell’Ospitalità” (“dove c’è arte non c’è conflitto”), ritornare ad essere una “città informazionale” e accreditarsi come il più grande “Centro Sociale Occupato” d’Europa di tutti e per tutti, il “Teatro del Mondo” o “Teatro Totale” in cui ciascuno di noi è spettatore-attore verso di sé e verso gli altri, una “Scatola Magica del Dialogo” in cui mettere dentro idee e tirar fuori coscienza, appartenenza, identità, valori civili/civici e innovazione.
Chissà forse un domani le “statue” di San Petronio sotto le Due Torri, di Ugo Bassi nell’omonima via e di Padre Pio a Porta Saragozza saranno lì a ricordare il passato decadente, stanco e reazionario, da cui la comunità (bolognese) ha trovato la forza di liberarsi, di reagire per prima ad uno stato/stallo di mal-essere diffuso in tutta la società contemporanea, ritrovando così gli stimoli su cui ri-alimetare quella carica innovativa che sempre l’ha caratterizzata. Solo allora sarà superata la “mitologia della città”, così come ancora ci fa comodo credere esista; solo allora sarà sconfitta una cultura morbosamente legata alle rovine di un passato che non si conosce e ai “luoghi comuni del comune pensare”; solo allora la città diventerà “cittadinanza” e i cittadini si riapproprieranno di un suolo che sia veramente “pubblico”. Quindi, e perché no, Bologna presto “Capitale Europea dell’Architettura” non perché sede della più importante fiera europea dell’edilizia – come dichiarato da Luca di Montezemolo (presidente dell’Ente Fiera di Bologna) all’apertura del SAIE di settembre – ma perché potenziale “laboratorio” no profit in cui elaborare strategie e superare le contraddizioni che vive oggi la “cultura del progetto”.
© arcomai l Le statue di San Petronio, Ugo Bassi e Padre Pio recentemente collocate all’interno del centro storico.
Questo contributo e’ stato pubblicaato in La metropoli rimossa nr. 7 di GOMORRA (AA.VV. Ed. Meltemi, Roma maggio 2004).